L’attuale campagna per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti si sta delineando come una delle  più “particolari” nella storia del Paese e rischia di mettere in discussione lo stesso sistema elettorale. Vediamo alcuni dei punti più rilevanti.

I candidati alle primarie. Nelle primarie, sia repubblicane che democratiche, almeno due dei candidati più in vista erano estranei all’establishment e agli apparati di partito: Donald Trump e Bernie Sanders. Quest’ultimo non è neppure formalmente membro del Partito democratico, essendo senatore del Vermont come indipendente. Esponente della sinistra, non si definisce “liberal”, come tradizione vorrebbe, ma “socialista”. Trump è sì un imprenditore miliardario, ma non viene dalla politica, né sembra ben accetto nei circoli che contano e, non a caso, è stato paragonato a un Berlusconi americano, con tutte le differenze del caso. Trump ha vinto e Sanders ha perso, ma entrambi hanno messo in gravi difficoltà i rispettivi schieramenti. 



Le primarie. Rischiano di essere le prime vittime di queste elezioni, in particolare quelle del Partito democratico, dove sul risultato finale è forte l’influenza dei delegati non eletti, espressione diretta dell’apparato di partito. Sanders ha perso ai punti nel voto dei delegati eletti, ma è stato messo ko dalla Clinton nel voto dei delegati non eletti. Il che sta aprendo una discussione sulla validità di questo meccanismo, aggravata dalle rivelazioni di WikiLeaks sulle pressione esercitate dall’apparato del partito in favore di Hillary, che hanno portato alle dimissioni della presidente del Democratic National Committee, il governo del partito.



In casa repubblicana il meccanismo di per sé sembra porre minori problemi, ma a essere messo in discussione, con modalità molto pesanti, è lo stesso candidato vincitore delle primarie, con risultati ancor più pesanti.

Il candidato democratico. Hillary Clinton è sotto tiro ormai da parecchio tempo per la questione della gestione, diciamo così, “privatistica” delle mail come Segretario di Stato, con possibili risvolti negativi sulla sicurezza che hanno riportato alla ribalta  anche la vicenda di Bengasi del 2012. A questo si aggiungono le costanti polemiche sui finanziamenti alla Fondazione intitolata a lei e al marito, l’ex presidente Bill Clinton, per i possibili intrecci con grandi gruppi e governi stranieri. La Clinton viene anche accusata di essere troppo “professionale” nelle sue dichiarazioni, non precisamente un complimento, perché ci si riferisce all’abilità considerata tipica degli avvocati, la sua professione, di essere vaghi e strumentalizzanti sulla realtà dei fatti. Ultimamente si sono poi avanzati dubbi sulle sue condizioni di salute, cavalcati ovviamente dai repubblicani e definiti “un complotto” dai democratici. La questione ha però sollevato il problema generale di una verifica oggettiva e neutrale delle condizioni di salute e psichiche deicandidati alla presidenza.



Il candidato repubblicano. Il problema delle condizioni psichiche di Donald Trump è spesso sollevato dai suoi oppositori, basato sulla supposta stravaganza delle sue proposte e dichiarazioni. Lo stesso Obama lo ha dichiarato inadatto a fare il presidente, un giudizio sulla persona ancor prima che sulle posizioni politiche. Alle accuse alla Clinton per l’inadeguata certificazione sanitaria fanno riscontro le parallele accuse a Trump per una non adeguata certificazione dei suoi redditi. Ma l’accusa maggiore riguarda le sue relazioni, ritenute ambigue, con la Russia di Putin, che lo hanno fatto definire un “Russian stooge”, un tirapiedi dei russi. A questo proposito si fa riferimento ai ripetuti tentativi di Trump di investire in Russia e al fatto che il responsabile del suo apparato elettorale, Paul Manafort, è stato a lungo consulente e lobbista negli Usa per Viktor Yanukovich, prima della sua deposizione e fuga in Russia. Qualcuno potrebbe però far notare che, fino ad allora, Yanukovich era considerato il legittimo presidente dell’Ucraina, con cui trattava tranquillamente perfino l’Unione Europea per l’associazione del suo Paese all’Ue.

Il dato tuttavia più grave è la contestazione di Trump all’interno del Partito repubblicano, ufficializzata dalla pubblicazione, l’8 agosto, di una lettera in cui 50 esperti di sicurezza e politica estera repubblicani dichiaravano di ritenere Trump completamente non adatto alla presidenza. A questa è seguita a metà agosto un’altra lettera firmata da più di 100 personalità repubblicane, compresi alcuni parlamentari, che invitavano il partito a cessare ogni appoggio a Trump e a rivolgere tutti gli sforzi alla conquista della maggioranza alla Camera e al Senato. In conclusione, una parte non indifferente dell’establishment repubblicano si dissocia dall’esito delle primarie, anche a costo di favorire il candidato democratico.

Il terzo partito. Candidati indipendenti o di partiti minori hanno spesso partecipato alle presidenziali, ma in posizione quasi sempre irrilevante. Questa volta il candidato del Libertarian Party potrebbe ottenere qualche risultato di rilievo, dato che i sondaggi lo danno attorno al 9% e, se riuscisse a raggiungere il 15% prima dell’inizio dei confronti pubblici, potrebbe affiancare Clinton e Trump nei dibattiti, con una possibile notevole ricaduta elettorale. Il candidato libertario, Gary Johnson, è un ex governatore repubblicano del Nuovo Messico, così come il suo candidato alla vicepresidenza lo è stato del Massachusetts. Johnson sta al Partito repubblicano come Sanders sta a quello democratico, con tutte le distinzioni del caso, e rappresenta un’ulteriore causa di incertezza di questa tornata elettorale. 

Conclusione. Il panorama descritto riflette una frammentazione della società americana che sta emergendo anche a livello politico, facendo saltare schemi che apparivano finora consolidati. Una situazione non di certo esclusiva degli Stati Uniti, guardando a ciò che sta accadendo in vari altri Paesi, a partire da quelli europei, ma che rende ancor più pericolosa una situazione mondiale già sufficientemente grave. Sono in aumento negli Usa le posizioni che definiscono inadatti entrambi i candidati e alcuni ipotizzano un cambio dell’ultimo momento, almeno per i repubblicani. Le continue polemiche e rivelazioni sulle mail e sulle donazioni in casa Clinton fanno sorgere ipotesi simili anche per i democratici, ma ciò, già difficile di per sé, sarebbe impossibile senza un rinvio delle elezioni e un prolungamento della permanenza in carica di Obama. Comunque la si ponga, le prospettive appaiono fosche.