Un’ottantina di persone sono state uccise in due attentati messi a punto dallo stato islamico. Il primo ha colpito la città di Aden, nel Sud dello Yemen, ed è stato rivendicato dall’Isis con un comunicato nel quale si afferma che “60 persone sono morte presso un centro di reclutamento delle milizie”. Le vittime sono soldati agli ordini del governo filosaudita che si stavano preparando per una missione ai confini settentrionali. Nello Yemen è in corso una guerra civile iniziata ufficialmente nel marzo 2015, anche se di fatto il Paese vive una fase di stabilità già a partire dal gennaio 2011. Altre 18 persone sono rimaste uccise a Kerbala, nel Nord dell’Iraq, dove quattro kamikaze si sono fatti esplodere durante una festa di nozze. Ne abbiamo parlato con Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale.



Quella in corso nello Yemen è una guerra sconosciuta ai più. Che cosa sta avvenendo nel Paese?

Si tratta di una guerra sconosciuta ma importante per il tempo da cui dura, per il numero delle vittime e soprattutto per i bombardamenti assolutamente fuori controllo che l’Arabia Saudita sta mettendo a segno nel Paese. Questo conflitto affonda le radici nelle cosiddette “primavere arabe”, quando venne di fatto spodestato il presidente/dittatore, Ali Abdullah Saleh. Nel 2012 ci fu il tentativo di sostituirlo con un nuovo presidente, Abd Rabbuh Mansur Hadi, che però non è mai riuscito a imporre il proprio controllo sul Paese nonostante il sostegno di Arabia Saudita ed Emirati Arabi.



Che cosa ha impedito che Mansur Hadi assumesse il controllo del Paese?

In primo luogo l’avanzata dal Nord dei ribelli di ispirazione sciita, ma non propriamente sciiti, i quali a loro volta hanno creato una sorta di contropotere in gran parte del Paese. All’interno di questa guerra fra ribelli e forze governative sunnite appoggiate da Arabia Saudita ed Emirati Arabi, si innesta la presenza sul territorio di Al Qaeda e Isis. I due gruppi, come anche in Siria e Libia, si contrappongono tra loro per raggiungere l’egemonia sulle fazioni più estremiste. In Yemen fino a poco tempo fa Al Qaeda controllava delle città e larghe fette di territorio. L’Isis cerca di assumere l’egemonia su queste aree.



In questo scenario, perché l’Isis ha deciso di colpire le truppe governative filo-saudite?

Perché comunque le forze saudite sono impegnate nel tentativo di controllare il territorio e l’Isis colpisce chiunque laddove rivendica una propria presenza.

In passato l’Arabia Saudita è stata tra i finanziatori dell’Isis. Questo attentato a quale logica risponde?

L’Isis non è finanziata dal governo di Riyadh bensì da privati sauditi: la responsabilità dello Stato consiste nel fatto di non controllare questi flussi di denaro. E’ la storia del gatto che si mangia la coda, perché l’Arabia Saudita ha permesso che l’Isis si rafforzasse e non ha calcolato i rischi che ciò comportava per il suo stesso territorio. Il rafforzarsi dell’Isis infatti determina anche una presenza in Paesi come lo Yemen, in cui l’Arabia Saudita vorrebbe esercitare la propria egemonia.

 

L’Isis persegue una strategia o colpisce a casaccio ovunque può?

L’Isis persegue una strategia ben precisa che consiste nella creazione del califfato, cioè di una presenza sul territorio, per poi espandersi in tutti i territori adiacenti abitati da musulmani tra cui Arabia Saudita e Yemen. L’obiettivo è ricreare il “Califfato primigenio” dell’epoca successiva a Maometto.

 

Il califfato sembra intenzionato ad andare da solo contro tutti. Quali prospettive può avere?

La prospettiva dell’Isis è quella di trascinare dalla sua parte le fazioni più estremiste dell’islam, in questo caso giocando sulla propria legittimità e capacità di rappresentarle. Non dimentichiamoci che la dottrina islamica nota come wahabismo accomuna di fatto Isis, Arabia Saudita e Qatar. L’interpretazione dottrinale è dunque la stessa, anche per quanto riguarda la pratica dell’islam che accomuna Arabia Saudita e territori dell’Isis. Ne sono l’emblema le decapitazioni e le fucilazioni che avvengono in entrambe le realtà. Da questo punto di vista l’islam saudita e quello dell’Isis sono la stessa religione. L’Isis giustifica le sue azioni con gli stessi versetti del Corano citati in Arabia Saudita per legittimare le pratiche del governo. Il problema in questo caso è chi vincerà tra Isis e Arabia Saudita.

 

Secondo lei come andrà a finire?

Pur essendo apparentemente perdente sul terreno in Siria, Libia e Iraq, l’Isis è sicuramente la forza che è riuscita a ottenere il seguito più ampio tra le fazioni più radicali dell’islam. Non necessariamente quindi la sconfitta della sua presenza sul terreno ne determinerà una disfatta totale. La vera sfida è battere il califfato anche all’interno della compagine islamista. In questo senso sarà interessante vedere se l’Arabia Saudita vuole allearsi con l’Occidente o se vuole mantenere le proprie ambiguità. In questo secondo caso molto probabilmente finirà per essere sconfitta.

 

(Pietro Vernizzi)