Potrebbe essere la politica estera la chiave di volta di queste Elezioni Usa 2016 che vedono fronteggiarsi Hillary Clinton e Donald Trump. Un esempio? Basta gettare uno sguardo fino in Russia, il paese di Vladimir Putin chiamato in causa dalla Clinton e dalle agenzie di intelligence a stelle e strisce che hanno accusato il Cremlino di aver rubato circa 20mila email dagli archivi del Partito Democratico. Documenti che, non si sa come, sono poi finiti nelle mani di Wikileaks, l’organizzazione guidata da Julian Assange, che ha deciso di renderli pubblici creando non poco scompiglio. Ma cosa può portare una candidata alla Casa Bianca dell’esperienza di Hillary Clinton ad accusare di un gesto tanto grave il leader di una delle più grandi potenze mondiali? Di certo non si è trattato di un atto avventato. Hillary è pragmatica, difficilmente agisce d’istinto, ma anche lei, come molti suoi colleghi politici, da segretario di Stato (l’equivalente del nostro Ministro degli Esteri) ha spesso fatto dipendere le relazioni tra gli Usa e gli altri Paesi dal feeling con il suo interlocutore del momento.
Nel raccontare le Elezioni Usa 2016, dire che tra Hillary e Putin non è mai scoccata la scintilla giusta è solo cronaca. Del resto, lo stesso presidente russo non si è fatto troppi problemi nel mettere a disagio i suoi omologhi stranieri nei momenti di maggiore tensione. Lo ricorderà Angela Merkel, il capo di stato tedesco la cui paura per i cani è nota a molti, che in più di un incontro con il leader del Cremlino si è vista costretta a celare ai fotografi il proprio terrore per la presenza nella stessa stanza di Coney, la femmina di labrador dal manto nerissimo dalla quale il padrone Vladimir Putin non sembrava riuscirsi a separare. Qui però, andiamo ben oltre i dispetti. Quelle di Hillary sono accuse molto serie, che in caso di successo alle presidenziali di novembre non lasciano intravedere nulla di buono nelle relazioni tra Usa e Russia. Come sottolineato da Corriere.it, fin dalle elezioni parlamentari russe del 2011, la denuncia di brogli della Clinton che avvalorò le proteste dei tanti manifestanti scesi in piazza contro Putin, non venne digerita dall’attuale plenipotenziario della Madre Russia. Quando Clinton parlò di elezioni “né libere, né eque”, come riferisce il Washington Post, quella di Putin fu la risposta di un leader che non ha alcuna intenzione di perdonare un’intromissione di questo tipo:”Ha dato il la ad alcuni personaggi pubblici nel nostro paese, ha mandato loro un segnale. Loro hanno sentito il segnale e hanno iniziato a lavorare attivamente con il sostegno del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti”. Un complotto vero e proprio quello denunciato da Putin, nulla però in confronto a quello ricostruito dallo “Spiegel”, secondo cui l’ex comandante supremo delle forze Nato in Europa, il generale Philip Breedlove, nel pieno della crisi Ucraina del 2015 tentò con tutte le sue forze di convincere Barack Obama a dotare Kiev di armi letali da usare contro la Russia. L’opera di convincimento di Breedlove era concertata con il vice segretario di Stato Victoria Nuland, la donna che tutti i giorni, nelle settimane in cui le frizioni tra Russia e Ucraina rappresentavano un problema di natura mondiale, entrava nell’ufficio di Hillary per fare il punto della situazione, e oggi, in caso di successo della Clinton alle Elezioni Usa 2016, viene indicata come segretario di stato in pectore. Capito il problema? La storia ci insegna che grazie anche all’opposizione della Germania, Kiev alla fine non venne dotata di armi letali, con Obama esitante però fino all’ultimo, probabilmente a causa delle forti pressioni esercitate dalla stessa Clinton. Ma la sfilza di incidenti diplomatici e incomprensioni tra Clinton e Putin non finisce qui. Nel 2009 un avvocato di nome Sergei Magnitsky venne arrestato per frode fiscale dopo aver denunciato la corruzione all’interno della Gazprom e morì in un carcere russo, ufficialmente per arresto cardiaco, ufficiosamente per non aver ricevuto le cure adeguate dopo essere stato torturato. Tre anni dopo l’amministrazione Obama emanò una serie di sanzioni contro i responsabili della morte dell’avvocato russo mediante il cosiddetto Magnitsky Act. A delegittimare la Russia di Putin, più che Obama, era la rappresentante all’estero di quell’amministrazione: Hillary Clinton. La risposta del leone ferito Vladimir Putin fu una legge che ancora oggi vieta ai cittadini americani di adottare bambini russi. La legge fu intitolata a Dima Yakovlev, un bambino russo di due anni che morì per asfissia in America dopo essere stato dimenticato in macchina sotto il sole per alcune ore. Ma tra Hillary e Putin la diversità di vedute va ben oltre la stretta sfera dei rapporti fra Usa e Russia. Quando nel 2011 scoppiò la cosiddetta “primavera araba”, Hillary Clinton era una delle più accese sostenitrici di un intervento militare americano in Libia. Secondo Putin invece un’operazione del genere, finalizzata a spodestare il sovrano Gheddafi, rappresentava un’interferenza non ammissibile nelle questioni private di un altro stato. Vedute diverse, compatibilità assente e anche qualche sgarbo reciproco. Nel 2013, quando Hillary aveva cessato di ricoprire la carica di segretario di stato, si recò a Yalta, in Crimea (che all’epoca non era ancora annessa alla Russia) nel tentativo di convincere l’Ucraina ad entrare nell’Unione Europea. Questo tentativo, però, venne letto da Putin come l’ennesima interferenza da parte della Clinton. L’inquilino del Cremlino infatti stava spingendo da tempo affinché l’Ucraina entrasse nell’Unione Economica Euroasiatica, la quale, ovviamente, vedeva la Russia in una posizione egemone. Il rapporto tra la Russia e i Clinton è stato complicato anche all’epoca di Bill. Questi, tentò senza successo di influenzare le politiche russe, ed è per questo che Putin all’Abc utilizzò un famoso proverbio della sua nazione:”Marito e moglie sono lo stesso Satana”, per evidenziare il sospetto concreto che la Russia può attendersi da Hillary lo stesso atteggiamento tenuto dal consorte molti anni prima. Nonostante ciò, non è detto che per l’amministrazione Putin, l’opzione migliore sia l’elezione di Donald Trump. Il perché lo ha spiegato al Washington Post l’ex ministro degli esteri russo Igor Ivanov:”Di solito, è più facile raggiungere un accordo con professionisti esperti, anche se sono negoziatori inflessibili e partner difficili. Sono prevedibili, razionali, e conoscono bene i loro limiti. Solitamente lavorare col “principiante” della politica internazionale è più difficile: spesso la mancanza di esperienza si traduce in un comportamento incoerente e imprevedibile; porta a prendere decisioni soggettive, emotive e a volte errate, che possono essere molto difficili da correggere in seguito”. La storia politica di Hillary Clinton poi, insegna che la candidata del partito Democratico è disposta a tutto pur di raggiungere un obiettivo. Va letto in quest’ottica il “reset” nelle relazioni Usa-Russia concordato con l’omologo ministro degli esteri Lavrov prima che la situazione, tra Libia, Ucraina e Siria, precipitasse. Può darsi, quindi, che queste nostra ricostruzione dei rapporti tra Putin e Clinton, tra qualche mese risulti inutile. State tranquilli però, non è stato tempo perso. Abbiamo già detto che spesso a fare la differenza nelle relazioni fra due paesi sono i rapporti personali tra i leader che li guidano. E tra Hillary e Putin, le acredini del passato sono pronte a rispuntare al primo passo falso dell’una o dell’altro. Usa e Russia non si sono mai amate, non sarà con la presidenza Clinton che inizieranno a farlo. (Dario D’Angelo).