Capire cosa sta succedendo nella sfida elettorale americana non è semplice. Comprendere come due outsider di entrambi gli schieramenti abbiamo potuto o possano esercitare un ruolo così prioritario, come Donald Trump tra i repubblicani e Bernie Sanders tra i democratici, vuol dire leggere e interpretare l’insoddisfazione dell’elettorato americano per due temi fondamentali: l’economia e la politica estera. Il bel libro di Andrew Spannaus (giornalista e analista americano attivo in Italia e all’estero e fondatore del servizio www.transatlantico.info) “Perchè vince Trump. La rivolta degli elettori e il futuro dell’America” può aiutarci e guidarci nel percorso. 



“Bernie Sanders e Donald Trump – scrive Spannaus – sono persone molto diverse: il primo un vecchio attivista di sinistra che si batte da decenni per l’uguaglianza e contro le discriminazioni; il secondo un immobiliarista e star della televisione che predilige la provocazione e l’insulto per attirare attenzioni su di sé. Eppure ci sono molte similitudini tra le campagne elettorali di questi due personaggi fino all’altro ieri non presi sul serio dal mondo politico americano. Entrambi hanno condotto campagne contro il sistema, identificandolo come il principale avversario del popolo un’élite corrotta… entrambi inveiscono contro Wall Street, contro i grandi interessi responsabili del lungo declino della classe media americana”. Entrambi, per esempio, si sono schierati contro la decisione della United Technologies Corp. (azienda attiva nel settore del riscaldamento e della ventilazione che nel 2015 ha fatto 9 miliardi di dollari di profitto) che ha deciso il 10 febbraio 2016 di chiudere due stabilimenti nell’Indiana, trasferendo duemila posti di lavoro in Messico. 



Questo è soltanto uno degli innumerevoli esempi recenti. Dal 2000, negli Stati Uniti hanno perso il lavoro nel settore manifatturiero, circa 6 milioni di persone. Molte di queste persone nel tempo hanno ritrovato un impiego, ma spesso nel settore dei servizi e con retribuzioni molto più contenute di un tempo. “La divisione economica in atto – spiega Spannaus – vede consolidarsi una classe benestante che copre il 25-30% della popolazione; dall’altra parte c’è la maggioranza degli americani che non solo non fa progressi nelle sue condizioni, ma spesso va addirittura indietro. In media il potere d’acquisto reale della popolazione, quindi corretto per l’inflazione, è pressoché uguale a quello del 1979… in termini monetari, per eguagliare uno stipendio di 4,03 dollari all’ora del 1973, occorrono 22,41 dollari all’ora oggi”. La bolla del 2002 e la crisi del 2008 hanno fatto il resto. 



A questo si aggiunge il fatto che il mondo delle banche e della finanza ha goduto nella percezione della gente di ben altro trattamento, come testimoniano la nascita di movimenti come il Tea Party e Occupy Wall Street. “Anche tra chi non perse il lavoro – spiega Spannaus – la fiducia nelle istituzioni diminuì, vedendo le difficoltà di altri. Ciò che forse ha provocato la rabbia maggiore è stato il trattamento mite per i responsabili della crisi finanziaria. Nessun banchiere è andato in galera. Anzi, spesso i banchieri hanno portato a causa lauti bonus nonostante la loro responsabilità nella catastrofe finanziaria”. Tutto questo ha portato a far sì che nell’agenda sia di Trump e di Sanders il tema economico fosse in primo piano e spesso non esattamente allineato alle idee dei loro rispettivi partiti. 

Il secondo punto fondamentale della campagna elettorale è rappresentato dalla politica estera. “Sanders ha contrastato Hillary (Clinton, ndr) ripetutamente per il suo sostegno alla guerra in Iraq, il suo ruolo come promotrice della guerra in Libia e il suo entusiasmo per un coinvolgimento diretto nella guerra in Siria… Ted Cruz (candidato repubblicano nella corsa alla Casa Bianca, ndr) e Donald Trump hanno entrambi criticato Hillary Clinton per il suo essere guerrafondaia, per non essere soddisfatta della guerra in Libia, ma di volerne una nuova in Siria”. Ecco il secondo elemento. Gli Usa sembrano stanchi degli interventi militari all’estero, tanto che non solo un candidato democratico, ma anche lo sfidante repubblicano indicano la necessità di un profondo cambiamento di rotta. “La mentalità della guerra al terrorismo – chiarisce Spannaus – e delle guerre per motivi geopolitici dovrà cambiare. Donald Trump propone perfino di ripensare la Nato, di riconoscere che il mondo della Guerra Fredda non c’è più, e di collaborare con la Russia per combattere la nuova grande sfida di questi anni: il terrorismo”. 

In quest’ottica la sfida elettorale appare come quella tra l’establishment rappresentato da Hillary Clinton (Trump probabilmente la attaccherà durante la campagna elettorale per i suoi rapporti con le banche, in primis Goldman Sachs) e un personaggio di rottura come Donald Trump. “Se non si risponderà in qualche misura alle richieste di cambiamento da parte della popolazione – conclude Spannaus – la prossima volta la rivolta sarà ancora più grande, e magari anche più pericolosa. Dunque non bisogna avere paura della rivolta degli elettori nelle presidenziali del 2016. Le istituzioni devono dimostrarsi abbastanza forti da gestirla, fermando ogni deriva anti-costituzionale… a prescindere dall’esito delle elezioni di novembre, vinceranno i cittadini che hanno sconvolto la politica americana con il loro sostegno ai candidati outsider come Bernie Sanders… e anche Donald Trump”. 

Difficile capire chi vincerà a novembre. Difficile capire se Hillary Clinton riuscirà a intercettare i voti di Bernie Sanders. Difficile comprendere quanta strada farà Trump. Di certo nella società americana si respira una grande voglia di cambiamento.