I toni concitati della campagna elettorale negli Stati Uniti rischiano di oscurarne i reali contenuti, decisamente importanti anche per il resto del mondo. Ciò vale in particolare per la politica estera, attualmente alla ribalta per le accuse a Donald Trump di essere un “compagno di merende” di Putin, sollevate non solo da Democratici e media, ma perfino da una parte del suo stesso partito. Come al solito, le dichiarazioni sopra le righe di Trump hanno aiutato i suoi avversari, ma hanno al contempo in parte risposto ai disagi di molti comuni cittadini verso la politica del loro Paese.



La politica estera è stata uno dei punti deboli dei due mandati di Barack Obama che, seppure non per sua sola responsabilità, lascia una situazione internazionale peggiore di quella ereditata otto anni fa. Particolarmente discutibile sembra essere proprio la politica nei confronti della Russia, connotata da un’aggressività non corrispondente ai reali interessi degli Usa, che dovranno far fronte nel prossimo futuro a un avversario ben più temibile: la Cina. Il regime imposto da Putin in Russia è molto criticabile, ma quello cinese è peggiore e un’alleanza tra le due potenze aggraverebbe la situazione anche sotto questo aspetto. Dal canto suo, Trump ha ricordato ai suoi compatrioti che non sono in grado di dare lezioni a nessuno: forse il “razzista” Donald pensava a Black Lives Matter e ai cittadini di colore ammazzati per strada dai poliziotti.



Hillary Clinton sembra invece intenzionata a continuare con ancor più decisione la politica di Obama, anche verso la Russia di Putin, da lei paragonato a Hitler per l’annessione della Crimea. Non stupisce perciò che la fazione più dura del Partito repubblicano, compresi il “falco” John McCain e i neocon tanto vituperati ai tempi di Bush e della guerra in Iraq, stia abbandonando Trump per avvicinarsi alla Clinton. Un altro esempio di questo rovesciamento di fronti viene da un articolo di Politico.com, secondo il quale Clinton sta surclassando Trump nelle donazioni provenienti da manager delle industrie degli armamenti, i cui fatturati dipendono dal Pentagono e dal presidente, comandante in capo delle Forze armate. Questo comportamento, che contrasta con quanto avvenuto nelle passate presidenziali, è motivato in parte dalla previsione di un successo della Clinton e, dall’altro lato, dall’imprevedibilità di Trump, in questa come in altre materie. Per certi versi, Hillary è “l’usato sicuro”, anche se magari il modello non è proprio quello desiderato, mentre Donald è “il nuovo che avanza”, ma non si capisce bene dove porterà.



Nei discorsi di Trump è centrale anche il tema, connesso a quello dei rapporti con la Russia, della Nato e della necessità di una revisione degli scopi e assetti dell’organizzazione. A questo proposito, ha dichiarato che gli Stati Uniti dovrebbero intervenire a sostegno solo di quegli Stati che adempiono ai loro doveri verso la Nato, anche economici.  

Questa affermazione ha destato preoccupazione ed irritazione, in particolare nelle repubbliche baltiche che si sentono più esposte a una eventuale minaccia russa, ma ha risposto all’insoddisfazione di una parte dell’elettorato, stanco del costoso ruolo predominante degli Stati Uniti. La questione sul significato e sugli obiettivi della Nato è stata posta già in passato, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la scomparsa dell’avversario Patto di Varsavia. Sebbene ritenuta sostanzialmente inadatta a fronteggiare il nuovo nemico rappresentato dal terrorismo internazionale, fu deciso di mantenerla in vita e attualmente ne fanno parte 28 Stati. Di questi, 22 sono membri dell’ Unione Europea, dato che Austria, Cipro, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia rimangono fuori del Patto. Per converso, non fanno parte dell’Ue Albania, Islanda e Norvegia che, insieme a Stati Uniti, Canada e Turchia, completano la lista dei membri dell’organizzazione.

La Nato intrattiene una serie di rapporti con Stati definiti “partner” e uno di questi organismi di collegamento, lo Euro-Atlantic Partnership Council (Eapc) comprende  anche la Russia. La cooperazione si è però interrotta nel 2014 a causa della questione ucraina e da allora la Nato accusa la Russia di aver violato accordi e diritto internazionale con l’intervento in Ucraina e con l’annessione della Crimea. La Russia risponde accusando la Nato di volerla circondare con misure ostili, come il dispiegamento di missili ed esercitazioni militari ai suoi confini, o con il tentativo di includere Stati come la Georgia e, appunto, l’Ucraina.

A questo riguardo, Trump sembra piuttosto conciliante verso la Russia, facendo perfino intendere di voler accettare l’annessione della Crimea. Dall’altra parte, la Clinton sembra propensa a una riedizione del confronto bipolare che caratterizzò la  Guerra fredda. Questa posizione non sembra consistente con l’attuale situazione multipolare, con una Cina sempre più protagonista e con una serie di potenze regionali non inquadrabili nello schema bipolare. Si pensi per esempio alla pericolosa ambiguità della politica turca, pur essendo la Turchia membro della Nato. La strategia di Trump è tuttavia ancora tutta da approfondire e appare fortemente influenzata dalle necessità della campagna elettorale. Le preoccupazioni su una reale capacità di Trump di gestirla efficacemente sono quindi oggettive.

Un fatto rimane certo: l’attuale drammatica situazione conflittuale che colpisce gran parte del mondo non può essere affrontata senza un sia pur difficile accordo tra Occidente e Russia, come dimostra ampiamente il Medio Oriente. La campagna elettorale statunitense e la confusione che regna in Europa rischiano di gettare nuova benzina sul fuoco che sta incendiando attualmente gran parte del mondo.