L’ipocrisia è l’unico, vero tratto distintivo del periodo che stiamo vivendo. Vi farò due esempi, molto basici, per capire che ormai lo scollamento tra ciò che serve alle elites e i diritti primari del popolo sia arrivato al punto massimo di tensione. Il 2 ottobre in Austria si sarebbe dovuto votare per il ballottaggio delle presidenziali, dopo che l’esito del 22 maggio scorso era stato invalidato per brogli. Il candidato della destra, Norbert Hofer, era in vantaggio in tutti i sondaggi e cosa succede? Circa 500 schede per il voto postale recapitate a Vienna e Salisburgo hanno problemi con la colla che serve a farle chiudere per inviarle: il ministro dell’Interno austriaco ha deciso che il voto verrà rinviato al 4 dicembre. Non vi pare un po’ strana questa catena di inconvenienti in un Paese normalmente conosciuto per la sua precisione e trasparenza? Di colpo l’Austria è diventato un Paese centroafricano che ha bisogno degli osservatori Osce per certificare la regolarità del voto? No, amici miei, è la stessa logica che sottende il referendum costituzionale italiano, la cui data è ancora da fissare e comunicare: qualcuno ha bisogno di un bell’intasamento elettorale in inverno, un bel carico di tensione politica nel Vecchio continente già provato da economia che non riparte e Borse che cominciano a non credere più al Qe da barzelletta di Mario Draghi.
Casualmente, grazie alla colla che non incolla e a Renzi che non decide, sia il voto austriaco che quello italiano si terranno dopo il voto delle presidenziali Usa. Il padrone ha detto come devono andare le cose e l’Europa batte i tacchi, un’altra volta. Non perderò il mio e il vostro tempo con la questione relativa alla salute di Hillary Clinton, sentitasi male durante le celebrazioni dell’11 settembre e a cui sarebbe stata diagnosticata venerdì scorso la polmonite: sono balle, la candidata democratica usa da anni medicinali per curare sindromi neurologiche e ha gravi problemi cardiaci che richiedono continui controlli. Arriverà al voto dell’8 novembre o si ritirerà prima? Non lo so, l’unica certezza che ho è che nessun organo di stampa ha avuto la decenza di raccontare le cose fino in fondo relativamente al 15mo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, siamo annegati per l’ennesima volta nella melassa della retorica.
Come mai, infatti, nessuno ha detto che due giorni prima, venerdì 9, il Congresso Usa ha dato il via libera a un decreto che permette di citare in giudizio l’Arabia Saudita per responsabilità connesse all’attacco? Forse perché allora bisognerebbe fare un bel mea culpa rispetto all’attacco contro l’Afghanistan, Paese dove non solo i talebani sono ancora forti e presenti, ma dove sta espandendosi anche l’Isis e la produzione di eroina è oggi ai massimi storici? O, peggio, magari toccherebbe spiegare perché dopodomani finirà il mese di silenzio assenso del Congresso e salvo veti dell’ultimo minuto diverrà operativa la vendita di armi per un controvalore di 1,5 miliardi di dollari da parte del Dipartimento della Difesa proprio verso Ryad, armi che verranno usate per sterminare civili innocenti in Yemen?
Strano no, un Paese viene ritenuto responsabile di aver collaborato a un attacco devastante sul mio suolo, ma io continuo a intrattenerci ottime relazioni diplomatiche, continuo a vendergli armi e le mie truppe speciali sono al suo fianco nella guerra in Yemen. Vi pare normale? Ma queste cose nei vari programmi di approfondimento non ve le hanno dette, si sono limitati alla versione ufficiale o a un delirante omaggio a Oriana Fallaci, la quale se fosse viva – viste le sue idee molto aperte rispetto all’islam – forse non sarebbe stata d’accordo con la logica Usa di fare affari con la casa reale del Paese che arma e finanzia tutto il terrorismo wahhabita e sunnita nel mondo.
Mi viene poi da chiedere dell’altro: se il problema è l’islam, perché l’esercito siriano, quello iraniano e Hezbollah combattono l’Isis sul campo? Cosa sono, avventisti del settimo giorno? Buddisti? Oriana Fallaci, pace all’anima sua, ha raccolto nei suoi libri ettolitri di bile, ma senza avere il coraggio di ammettere la realtà: ovvero che quell’America che chiamava a svegliarsi e a tornare baluardo d’Occidente contro il male islamico, in realtà era ed è la principale sobillatrice dell’islamismo armato e violento, giocattolini che il Dipartimento di Stato crea e disfa a sua necessità per destabilizzare mezzo mondo. Non lo dico io, ormai lo sanno anche i sassi e grazie a Wikileaks nessuno può più negare. Non so voi, ma io sono stanco di vivere in un mondo del genere, un mondo dove si nega il diritto al voto se i sondaggi sono scomodi, adducendo come scusa la colla delle buste per il voto postale o un mondo dove si piangono le vittime dell’11 settembre, fregandosene delle vittime fatte in Afghanistan nonostante dietro l’attacco ci siano i sauditi. O delle vittime innocenti in Iraq, dove il mondo ha creduto alle provette da piccolo chimico di Colin Powell, rivelatesi poi una balla colossale. O un mondo che ha ucciso Gheddafi come un cane, ritrovandosi con una Libia totalmente destabilizzata. E potrei andare avanti per ore, anche se so che quanto scrivo è aria inutile, “pensiero debole” direbbero i fallaciani rigidi presenti anche su queste pagine.
La realtà è una brutta bestia, lo so, ma se non ci si fa i conti, poi ci si ritrova a combattere i mostri nei videogame come diceva Tremonti rispetto alla crisi finanziaria. Il problema è che questi mostri sono veri, sparano, decapitano, si lanciano sulla gente che guarda i fuochi d’artificio a bordo di tir tramutati in bombe, fanno strage durante un concerto. E, in tutti i casi, riescono a compiere il loro compitino di morte perché qualcuno lo facilita o le rende possibile: sono stanco di poteri che dicono di combattere il terrorismo e piangono i morti alle celebrazioni, quando sono i primi responsabili – diretti o indiretti – del caos. Sono stufo di non poter votare, sono stufo di troike e consorterie non elette che decidono il mio futuro, sono stufo di gente che gioca con la vita altrui in nome di interessi particolari e poi vuole anche che la ringrazi perché mi difende dal terrorismo. Il primo terrorista non è chi spara, ma chi mette a disposizione mitra e proiettili. E domenica, alle celebrazioni dell’11 settembre, ne era pieno.