“Ad Aleppo il coprifuoco è entrato in vigore in un clima pieno di aspettative. Dopo oltre cinque anni di guerra la gente è ormai stanca e desidera veramente con tutto il cuore che questa pace abbia inizio a ogni costo”. E’ la testimonianza di padre Firas Lutfi, viceparroco della chiesa di San Francesco ad Aleppo e superiore del Collegio di Terra Santa. Il cessate il fuoco è incominciato in tutta la Siria a partire dal tramonto di lunedì, e nelle prime 24 ore ha retto tutto sommato bene. Per padre Firas, “se non si instaura una pace duratura anche quella minoranza di cristiani rimasti qui perché sentono di avere una missione se ne andranno, e la Chiesa siriana si trasformerà in un museo vuoto”. Mentre sulle sanzioni economiche stabilite dall’Unione Europea dice: “Colpiscono soprattutto la povera gente, andrebbero subito eliminate”.



Quale clima si respira ad Aleppo nel primo giorno dall’entrata in vigore della tregua?

Qui ad Aleppo si respira un clima di positività e una grande speranza che questa tregua sia davvero definitiva, che sia l’inizio di una pace piena, completa e vera. L’atmosfera è piena di aspettative, anche se qualcuno teme che la tregua sia utilizzata da entrambe le parti per armarsi ancora di più. Ma dopo oltre cinque anni di guerra la gente è ormai stanca e desidera veramente con tutto il cuore che questa pace abbia inizio a tutti i costi.



Ci sono state violazioni della tregua?

Lunedì alcuni lanci di razzi hanno causato danni materiali e diversi feriti. Non si tratta però di una violazione della tregua, in quanto non tutte le fazioni sono state incluse nell’accordo tra Usa e Russia. Mosca infatti ha insistito sulla necessità di dividere in modo rigoroso i gruppi che appartengono a un’opposizione moderata da un lato e Isis e Al Nusra dall’altra.

Nel primo giorno di tregua la gente è uscita di casa o continua a nascondersi?

In realtà il primo giorno di tregua ha coinciso con la festa musulmana del Sacrificio, durante la quale la gente di solito sta in casa.



Chi era fuggito dai quartieri bombardati vi è ritornato?

No. Quando si accende il conflitto in una zona della città, quei quartieri smettono di essere abitabili e le case sono tutte distrutte o semi-distrutte. La gente quindi cerca delle stanze in affitto altrove e non torna se non a condizione che i militari abbandonino completamente quella zona. Comunque gli aleppini sono abbastanza fiduciosi, anche se qualcuno è perplesso in quanto in passato è avvenuto che queste tregue durassero per una o due settimane, e poi tutto precipitasse nuovamente nella situazione peggiore.

In città ci sono acqua, cibo, medicinali e ospedali funzionanti?

In questo momento sta funzionando tutto abbastanza bene, anche per merito di questa tregua in quanto prima si aveva paura di portare gli aiuti nelle zone colpite. Gli ospedali sono attivi, anche se hanno il problema della mancanza di medicine. A volte i medicinali più costosi non sono più disponibili, e si tende quindi ad attendere l’arrivo di Onu, Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. Il problema dell’emergenza dell’acqua è diminuito rispetto a qualche mese fa, anche se persiste nei quartieri vicini alle colline.

 

I cristiani di Aleppo come stanno vivendo questo momento?

I cristiani nelle zone controllate dal governo siriano vivono la loro fede come prima, e sia pure con tanta prudenza partecipano alla messa. Il numero dei cristiani, in Medio Oriente ma soprattutto in Siria, sta però sempre più diminuendo. Solo nella città di Aleppo i cristiani prima del conflitto erano 150mila mentre adesso sono meno di 30mila. In tutta la Siria i seguaci di Gesù erano l’8-9% della popolazione, pari a 2 milioni di persone, mentre adesso sono 1 milione. Stiamo quindi parlando di un’emorragia, in quanto i cristiani si trasferiscono altrove in cerca della sicurezza e di una vita dignitosa.

 

E chi è rimasto?

Il piccolo gregge che è rimasto lo ha fatto perché è convinto di avere una vocazione specifica: restare nel Paese dove è nato e dove la Chiesa apostolica trae le sue origini. La stragrande maggioranza però se ne è già andata, e se non si approda subito alla pace la Chiesa siriana rischia di trasformarsi in un museo senza fedeli. Il dramma cui stiamo assistendo in Medio Oriente è lo svuotamento della Chiesa che ha vissuto qui da due millenni.

 

Che cosa possiamo fare noi europei per aiutare chi vive in Siria?

La priorità è abolire le sanzioni economiche che colpiscono soprattutto le persone più povere. Le banche in Siria sono praticamente tagliate fuori da tutto il resto del mondo. Le sanzioni infatti non bloccano solo l’invio di armi, ma anche qualsiasi trasferimento finanziario dall’Europa in Siria. Un mio parente in Italia o un’opera di carità italiana che aiuta i poveri, non possono inviare soldi alla mia parrocchia ad Aleppo perché le sanzioni lo impediscono. L’unico modo per portare le donazioni è farlo di persona quando si viaggia, anche se sappiamo che gli aeroporti europei prevedono un tetto di 3mila euro.

 

Qual è la logica da cui nascono le sanzioni?

Chi ha instaurato le sanzioni lo ha fatto nella convinzione che i trasferimenti di denaro verso la Siria finiscano tutti alle organizzazioni terroristiche, mentre nella realtà non è sempre così. Le sanzioni impediscono anche di fare donazioni alla gente comune.

 

(Pietro Vernizzi)