L’Isis ha confermato che il suo portavoce Abu Mohammad al-Adnani (1977-2016) è stato ucciso il 30 agosto ad Aleppo. Si tratta di una figura decisiva per capire gli ultimi attentati in Europa, che merita un sia pur rapido inquadramento.

L’Isis non è nato con lo scopo primario di destabilizzare l’Occidente, ma di costruire un califfato in Oriente e in Africa. Per questo ha bisogno di volontari, che costituiscono il nerbo del suo esercito. Dopo l’episodio di Charlie Hebdo, non solo gli analisti ma le stesse pubblicazioni dell’Isis avevano messo in chiaro a che cosa servono quel genere di attentati. Sono spot pubblicitari per il reclutamento di nuovi militanti che partano dall’Occidente e vadano a combattere in Siria e in Iraq. E sono spot che funzionano: secondo alcune valutazioni, i combattenti partiti dalla Francia per arruolarsi nell’Isis sono ormai più di mille.



Se questo era vero per Charlie Hebdo, nei mesi passati dall’attacco al giornale satirico francese (gennaio 2015) ai nuovi attentati di Parigi di novembre 2015 e a quelli in Belgio e Francia del 2016 qualche cosa è cambiato. Lo spot pubblicitario per reclutare giovani estremisti disposti a partire per le terre del califfato rimane il primo motivo degli attentati. Ma se ne aggiunge un secondo, anche qui chiaramente illustrato nella letteratura dell’Isis, che tra l’altro è scritta da persone di buona cultura. Lo stesso califfo al-Baghdadi non è un contadino, ma un accademico con uno, o secondo altri due, dottorati universitari.



Il secondo obiettivo è creare il caos in alcuni Paesi identificati come “a rischio” per l’incapacità della polizia di controllare periferie e banlieues dove non osa neppure avventurarsi e dove ci sono tanti musulmani. Il caos costringerà la polizia a occuparsi d’altro e a non ostacolare il reclutamento dell’Isis. E in una società in preda al caos il reclutamento diventerà anche più facile. Lo spiega un opuscolo pubblicato nel mese di luglio 2015 dall’Isis, “Gang musulmane”.

Un autore particolarmente influente sull’Isis – ma anche sull’ultima generazione di al-Qa’ida – è il siriano, ma cittadino spagnolo, Abu Mussab al-Suri, da molti anni in carcere in Siria. È un teorico del jihadismo che ha criticato al-Qa’ida per la sua ossessione nei confronti degli Stati Uniti, che ha portato agli attentati dell’11 settembre 2001, spettacolari ma politicamente inutili. Secondo al-Suri occorre invece colpire in Europa. Perché gli europei, a differenza degli americani, si spaventano e si ritraggono quando sono colpiti. E perché le periferie musulmane dell’Europa, soprattutto in Francia e in Belgio, sono a un passo dal diventare piccoli emirati, terre di nessuno dove la polizia a stento osa avventurarsi e dove il reclutamento per il jihad in Medio Oriente può procedere quasi indisturbato. Le teorie di Suri sembravano lontane dalla realtà, ma sono state riprese e sviluppate da un altro teorico siriano dell’ultra-fondamentalismo, appunto Abu Mohammad al-Adnani, collaboratore di Zarqawi e dal 2014 portavoce dell’Isis.



Adnani ha sviluppato la teoria secondo cui il “terrorista del futuro” è un giovane musulmano occidentale arrabbiato, che magari non frequenta le moschee e non ha mai incontrato di persona un esponente dell’Isis, ma tramite Internet si radicalizza e compie attentati con mezzi di fortuna, da un coltello a un camion lanciato contro la folla com’e avvenuto a Nizza il 14 luglio 2016.

Come ha mostrato lo storico svizzero Olivier Moos nel suo Le jihad s’habille en Prada (Religioscope, Friburgo 2016), non è “strano” che molti degli ultimi attentatori non avessero mai messo piede in una moschea, facessero uso di droghe e avessero una vita sessuale sregolata. È al contrario “normale” e corrisponde alla nuova strategia di reclutamento di Adnani, il cui obiettivo tipico è un musulmano che odia la società occidentale in cui vive e la accusa di non avergli offerto il benessere promesso, che passa molte ore su Internet, e che idealizza la violenza in genere. Si parla molto di “lupi solitari”, ma l’analisi è vecchia: le nuove comunità sono virtuali, vivono solo su Internet, e nessun lupo è più veramente solitario. È vecchia anche la distinzione fra terroristi legati all’Isis e terroristi che soffrono semplicemente di turbe psicologiche; la nuova propaganda dell’Isis modello Adnani va precisamente alla ricerca di candidati al terrorismo che manifestino qualche disadattamento psicologico…

Ne consegue che anche l’anti-terrorismo va ripensato radicalmente. Chiudere le moschee dove si predica l’odio non è inutile – alcuni terroristi sono ancora reclutati lì — ma non serve contro i “nuovi” terroristi reclutati con il “metodo Adnani”, che frequentano i night-club molto più delle moschee. La sorveglianza del territorio e della Rete sono senz’altro utili, ma ultimamente la lotta al terrorismo di nuova generazione implica un’offerta d’integrazione intelligente che disinneschi il vittimismo di tanti giovani immigrati, il quale costituisce il terreno su cui fiorisce il reclutamento dei terroristi. Gesti simbolici come la proibizione del velo o del burkini e slogan contro l’islam in genere alimentano invece quello stesso vittimismo e finiscono per rendere più facile l’azione di propaganda delle organizzazioni terroristiche.