“I terroristi del New Jersey vogliono replicare quanto accadde con gli attentati di Madrid del 2004, a pochi giorni dalla vittoria di José Luis Zapatero il quale ritirò il contingente spagnolo dall’Iraq. In questo caso lo scopo è far vincere Donald Trump la cui politica estera sarebbe in un certo senso più aggressiva e in un altro più isolazionista”. E’ l’analisi del generale Mario Mori, fondatore dei Ros ed ex direttore del Sisde. Ieri pomeriggio la polizia americana ha catturato Ahmad Khan Rahami, il sospetto attentatore per le bombe del New jersey. Il 28enne è stato arrestato a Linden, in New Jersey, al termine di una sparatoria con gli agenti.



A confronto di Osama Bin Laden la nuova leva di terroristi sembra essere composta da maldestri dilettanti. Perché?

L’11 settembre era il frutto di una preparazione nel tempo che gli Stati Uniti non si aspettavano. I terroristi ebbero la possibilità di organizzarsi, di trasferire negli Usa una parte delle 20 persone che poi misero in atto l’attentato e quindi di prepararle adeguatamente. Tutto ciò avvenne in una fase in cui Al Qaeda agiva praticamente indisturbata in quanto non aveva il fiato sul collo delle forze di polizia. Dopo l’11 settembre è cambiato tutto. Gli Stati Uniti si sono resi conto del pericolo, hanno organizzato intelligence e forze di polizia per rispondervi e hanno preso decisioni molto drastiche.



Secondo lei dietro questo attentato ci sono dei foreign fighter o una radicalizzazione di persone del posto?

Propenderei di più per la prima ipotesi. Nel 2007 a Minneapolis un gruppo di americani di origine somala denunciò alcuni correligionari i quali erano rientrati negli Stati Uniti provenendo dalla Somalia, dove avevano fatto parte di Al-Shabab, la formazione che aveva come riferimento Al-Qaeda. E’ ciò che può essersi verificato anche di recente. Qualche gruppo solitario o qualche ex foreign fighter è tornato negli Usa e ha creato dei piccoli nuclei, non tutti controllati. Tenga conto che i foreign fighter americani sono circa 250 in tutto.



Sembra che frastagliando le iniziative e le operazioni terroristiche, se ne riduca anche l’efficacia. E’ veramente così?

No, io non direi. Indubbiamente uno potrebbe dire che fanno più danni due o tre grossi attentati piuttosto che uno stillicidio. Ma uno stillicidio è molto più finalizzato all’ideologia e agli obiettivi che Al Qaeda e Isis si ripropongono. Entrambi i gruppi fanno la guerra all’Occidente per dissuaderlo dall’interessarsi al mondo islamico. E una serie di attentati di piccole dimensioni preoccupa molto di più la pubblica opinione che non un attacco in grande stile.

C’è un precedente che le ricorda quanto è avvenuto a Manhattan?

Sì, la strage di Atocha. Gli attentati del 2004 alla stazione di Madrid avvennero pochi giorni prima delle elezioni politiche. In quell’occasione vinse Josè Luis Zapatero, il quale ritirò il contingente spagnolo dall’Iraq. Fu considerata dai terroristi come una grandissima vittoria, nonché come la dimostrazione che il loro sistema era valido.

 

In che senso?

Lo scopo di Al Qaeda e Isis non è dichiarare guerra ai singoli Paesi di Europa e America, bensì cacciare dalla terra dell’islam i “crociati occidentali”. L’attentato di Madrid fece sì che il governo Zapatero cedesse e ritirasse le sue truppe dall’Iraq. Questo è il fine diffuso, che nel caso dell’Italia è riuscito senza compiere un solo attentato in quanto anche il nostro Paese non si è più impegnato con i cosiddetti “scarponi sul terreno”.

 

In questo caso chi vogliono fare vincere gli attentatori del New Jersey?

Una vittoria di Trump potrebbe sortire l’effetto che tutti questi attentati si ripromettono. Mentre l’attività di Hillary Clinton sarebbe più o meno una ripetizione della posizione assunta nel corso del secondo mandato presidenziale di Barack Obama, quella di Trump sarebbe sicuramente molto diversa. In un certo senso sarebbe infatti più aggressiva, in un altro più isolazionista. Tutto sommato è ciò che si aspettano gli attentatori di Manhattan: decisioni più nette, attacchi più cruenti. Nella prospettiva di qui a dieci anni vedono gli Stati Uniti che o si ritirano completamente dal Medio Oriente o si impegnano e si dissanguano in una serie di atti di guerra fino a risultarne indeboliti.

 

(Pietro Vernizzi)