Questo fine settimana è cambiato tutto. E non mi riferisco all’ennesimo fiasco elettorale della Merkel nel Land di Berlino, quello è solo il contorno di ciò che conta davvero. Parlo di cosa è successo nel cuore dell’Impero: l’America, faro della civiltà occidentale e prima potenza militare al mondo, è in ginocchio e atterrita per quattro pentole a pressione. Sembra riduttivo definire così la situazione, ma sono i fatti: con il minimo sforzo e il minimo danno, gli Usa si sono garantiti un’altra volta agli occhi del mondo la possibilità di proseguire la guerra al terrore inaugurata da George W. Bush. 



Ieri, quando da noi erano le 13, Donald Trump ha fatto un lungo intervento su Fox News e vi assicuro che il cambio di marcia e di paradigma si è palesato subito: il candidato presidente per i repubblicani non solo è stato fatto parlare lungamente e quasi senza contraddittorio, ma per la prima volta ha goduto della deferenza mediatica che merita chi, sempre più probabilmente, sarà il nuovo comandante in capo. Insomma, l’America comincia a prendere seriamente in considerazione il fatto che il tycoon potrebbe sbarcare alla Casa Bianca. 



E non basta, perché contraddicendo clamorosamente la sua linea di politica estera, Donald Trump ha detto chiaramente che di fronte al rischio terroristico che l’America si trova ad affrontare occorre colpire i terroristi nei Paesi da dove provengono e sigillare le frontiere, evitando nuovi ingressi. La seconda parte del discorso era nota, ma finora Trump aveva sempre parlato di un’America meno interventista in politica estera: ora, invece, siamo quasi all’attacco preventivo. 

Trump è sceso a patti con il Deep State? Credo di sì, temo che il candidato repubblicano abbia capito che per arrivare al suo scopo deve scendere a patti con il comparto bellico-industriale che di fatto guida il Paese e mettere da parte le sue idee originali al riguardo. Ma è cambiato anche dell’altro in soli due giorni. Casualmente, gli “attentati” a Manhattan e dintorni sono avvenuti in perfetta contemporaneità con l’attacco avanzato dalle forze aeree statunitensi in Siria, dove sono stati uccisi “per errore” oltre 90 soldati dell’esercito fedele ad Assad: stavolta non ci sono possibilità di incolpare Putin o utilizzare Medici senza frontiere per intorbidire le acque, stavolta l’accaduto è stato talmente palese da portare il Pentagono a fare la propria ammissione di colpa. 



Il problema è che quell’attacco è avvenuto nel corso della tregua proclamata proprio da Usa e Russia, finora però utilizzata da aeronautica statunitense e “ribelli” per colpire a tradimento e riguadagnare posizioni, dopo che l’offensiva di siriani ed Hezbollah aveva praticamente espugnato tutte le roccheforti. Ci troviamo di fronte a una palese violazione di ogni codice militare, oltre che a una presa di posizione che non lascia dubbi: pur di far cadere Assad e indebolire la presenza russa nell’area, gli Usa sono pronti a spalleggiare chiunque, Isis compresa. La stessa Isis che, con qualche giro di parole, dicono essere la responsabile per gli attacchi con le pentole a pressione su suolo statunitense: qualcosa decisamente non torna. 

Come non torna il fatto che Donald Trump abbia parlato da subito di bomba, quando il sindaco di New York, Bill De Blasio, ancora non aveva escluso la pista della fuga di gas. Non vedevano l’ora di proclamare il nuovo stato di allarme, la tensione in un modo o nell’altro doveva salire. Qui non siamo più al doppiogiochismo, un classico delle operazioni di destabilizzazione geopolitica, qui siamo all’aperta provocazione attraverso la rottura di una tregua per indebolire l’offensiva di chi l’Isis lo combatte da sempre. 

Contemporaneamente, poi, ecco che l’allarme interno cala sulla situazione come un sipario che tutto copre e tutto giustifica: penso che la stabilità mediorientale sia, oggi come non mai, su un crinale estremamente pericoloso. Questo, oltretutto, dopo che gli Usa hanno appena venduto armi per 1,5 miliardi di dollari all’Arabia Saudita (la stessa che hanno reso processabile per complicità nell’11 settembre) e hanno stanziato aiuti militari per Israele per 38 miliardi di dollari, la singola più grande commessa di sempre e proprio nei giorni in cui una mail hackerata di Colin Powell ha fatto scoprire che Tel Aviv è in possesso di 200 testate nucleari. 

Non so voi, ma io penso che non ci sia affatto da stare tranquilli, perché quanto accaduto in soli tre giorni può cambiare del tutto lo scacchiere mediorientale e quello dei rapporti di forza tra Usa e Russia: dubito che Putin, il cui partito – Russia Unita – proprio questo fine settimana ha vinto le elezioni parlamentari, aggiudicandosi il 54,2% dei voti, forte quindi di un rinnovato consenso anche se a fronte di un crollo dell’affluenza, scesa al minimo storico del 47%, accetterà ancora molte provocazioni simili. 

Lo ripeto, questo fine settimana è cambiato tutto. Dopo i recenti sviluppi militari e diplomatici, Mosca potrebbe presto dichiarare i cieli siriani off-limits per l’aeronautica Usa, togliendo agli americani anche quella preziosa capacità di ricognizione con droni, metodo con il quale assistono direttamente i terroristi sul campo. Con due mesi alle elezioni e un Obama completamente travolto dagli eventi, una decisione di questo calibro manderebbe in frantumi i piani americani e sarebbe un segnale forte e inequivocabile: la Russia non tollera più l’ambiguità degli Stati Uniti e li considera parte integrante del fronte terroristico, con tutte le conseguenze del caso. In uno scenario del genere, sarebbe bene che qualcuno vicino all’inquilino della Casa Bianca gli ripetesse un concetto. 

Non è detto che Mosca arrivi al punto di dichiarare un veto sui cieli siriani, ma, nel caso in cui dovesse accadere, è bene essere consapevoli che una violazione comporterebbe un’immediata reazione di batterie S-400 pronte a disintegrare i velivoli nemici, americani compresi. Obama vuole essere ricordato come il presidente che scelse di violare l’ipotetica no-fly-zone russa in Siria, scatenando scenari apocalittici? A lui la scelta, con la speranza che sia ancora in grado di porre un freno alle conseguenze tragiche che milioni di cittadini americani e non subirebbero per colpa di una sua errata decisione. 

Il mio timore, visto quanto accaduto e vista la capriola di Trump in fatto di interventismo in politica estera, mi fa pensare che la disperazione negli Usa sia veramente andata fuori controllo. Sono tempi davvero pericolosi. E, cosa peggiore, con attori in campo senza una strategia, se non quella di voler vincere a tutti i costi.