La settimana scorsa i gruppi jihadisti Jund al Aqsa, Fatah al-Sham e yash al-Nasr, Jaish al-Izzah del Free Syrian Army (ed altri), tutti appartenenti al coordinamento Jeish Al-Fatah, hanno lanciato una violenta offensiva a nord della città siriana di Hama, zona che ha aderito al piano di riconciliazione nazionale. 



Gli aggressori, provenienti da Idlib e da Aleppo, hanno avuto immediatamente ragione delle esili postazioni difensive della forza di nazionale di autodifesa (Ndf). I militanti di Jeish Al-Fatah si sono lanciati da più direzioni contro i check-point con veicoli kamikaze imbottiti di esplosivo ed hanno fatto largo uso di missili Atgm/Tow (regalati in quantità enormi dagli Usa durante la tregua del 27 febbraio). 



La situazione a nord di Hama è davvero preoccupante: nonostante i bombardamenti aerei siriani e russi, numerosi villaggi situati nella campagna a nord di Hama sono caduti sotto i colpi inferti dai combattenti islamici, forti anche di agguerritissime unità cecene.

L’obiettivo ambito è prendere Hama (350mila abitanti) e Mhardeh, la città cristiana più popolosa della Siria. Mhardeh oltre alla sua indiscussa importanza religiosa e storica ha una grande importanza strategica. Per la sua posizione è la porta di ingresso alla fertile valle del fiume Oronte: la valle ospita tutte la maggior parte delle principali minoranze presenti in Siria, compresa quella cristiana situata ad est dell’Oronte. 



L’attacco che i terroristi stanno compiendo è del tipo “shock an awe” (colpisci e terrorizza) ed ha lo scopo di alleggerire l’offensiva governativa ad Aleppo. Nello stesso tempo, l’obiettivo è dimostrare ai cristiani che il governo non li protegge e di punirli per il loro sostegno.

Intanto, a Mhardeh la popolazione non dorme e molti cittadini si uniscono all’Ndf, e ai volontari cristiani del posto si sono aggiunti circa 1000 uomini dell’esercito arrivati venerdì, volontari cristiani Ndf accorsi da Damasco e giovani assiri della milizia cristiana Sootoro proveniente da Qamishli. Con i terroristi alle porte, gli abitanti temono che possa ripetersi  quando avvenne nel villaggio cristiano siro-ortodosso di Sadad nell’ottobre 2013. Si tratta della strage più efferata di cristiani di tutta la guerra in corso: tutte le quattro chiese del paese furono saccheggiate e distrutte e 45 civili innocenti, donne e bambini furono torturati a morte dalle milizie jihadiste. I corpi mutilati di sei persone appartenenti ad una stessa famiglia furono trovati in fondo a un pozzo. Per una settimana, prima della riconquista governativa, 1.500 famiglie furono tenute come ostaggio e trattenute come scudi umani.

Ed un mese prima del massacro di Sadad, anche la cittadina di Malula (dove si parla ancora l’aramaico come a Sadad) ebbe i suoi martiri. Successivamente, il dilavamento delle milizie settarie lungo la Valle dell’Oronte moltiplicò ovunque questi episodi di violenza e sopraffazione. Ecco in una breve registrazione come riferiva quelle circostanze padre Pizzaballa, l’allora Custode di Terrasanta. Si tratta di una lettera indirizzata nel 2013 al card. Sandri (Prefetto della Congregazione per le chiese orientali) e letta dallo stesso, nel corso dell’incontro ”cosa vogliono i siriani” svoltosi a Roma il 17 dicembre 2013. 

 Il documento mostra come le violenze settarie dei “ribelli” contro i cristiani siano state sempre una costante nell’arco della cosiddetta “rivoluzione” fino a costituirne una caratteristica indissolubile. Mhardeh stessa (che subisce attacchi ininterrotti dal 2012) è testimonianza vivente di questa situazione. E’ evidente che ciò che accomuna queste azioni non è certo la volontà di indire libere elezioni (il cui esito, vista la strenua resistenza delle popolazioni, è scontato), bensì di imporre un rigido stato islamico basato sulla sharia. 

Tuttavia, nonostante le numerose evidenze, le persecuzioni contro i cristiani saranno considerate dalla Comunità internazionale “degne di attenzione” solo in seguito, quando una delle tante fazioni islamiche, l’Isis, intaccherà gli interessi occidentali in Iraq. Sarà comunque un’attenzione parziale, limitata solo ai soprusi compiuti dallo stato islamico. 

I fatti però sono di altro segno: la battaglia in corso a nord di Hama, con le notizie di stragi di civili e decapitazioni di militari, provenienti dai villaggi di Souran, Alfaya e Tayeba Al-Imam (in quest’ultimo è stata decimata tutta la popolazione) dimostra per l’ennesima volta che Isis, al Nusra e Free Syrian Army (così come pure le altre svariate sigle combattenti) hanno lo stesso radicalismo religioso, operano tutte all’unisono e rispondono alle direttive delle stesse cabine di regia. Lo stato islamico, per impedire che l’esercito siriano mandi cospicui rinforzi nella zona di Hama, lo tiene impegnato nella zona desertica tra Hama ed Homs mediante continui attacchi. Questo tipo di azioni coordinate stanno avvenendo anche in altre località della Siria come Kuwaires (Aleppo) dove l’Isis non ha alcun interesse strategico.  

Basta focalizzare l’attenzione su una qualsiasi località della Siria per capire la verità di ciò che sta avvenendo, eppure il Dipartimento di Stato Usa asserisce che il pericolo sia costituito esclusivamente dallo stato islamico (Isis) e che, perciò, gli altri gruppi jihadisti non sono da considerare terroristi. E’ chiaro che Washington e (gli alleati nell’area) non avendo mai rinunciato a rovesciare lo stato siriano (secondo progetti già in piedi dal 2001) abbisognano di distinguere tra le varie “sfumature di grigio” della stessa matrice ideologica fondamentalista, secondo quello che il mercato offre. Così quando gli abitanti del posto si rifiutano di abbandonare il loro passato si fa tabula rasa, per far regredire le persone e spezzare la loro volontà.