Nei giorni scorsi è stata annunciata la “destituzione” di Abu Bakr Shekau, il leader di Boko Haram, il movimento terroristico nigeriano noto per i rapimenti di giovani cristiane e per le stragi nelle chiese che hanno portato alla morte di circa novemila cristiani degli ultimi dieci anni. Boko Haram, si è letto, si considera ormai parte del califfato dell’Isis e il califfo al-Baghdadi, disturbato da alcune tesi di Shekau, ha deciso di destituirlo e di sostituirlo con Abu Mus’ab al-Barnawi. In realtà, come rivela un eccellente studio dello storico Roman Caillet pubblicato dal centro svizzero Religioscope, le cose sono più complicate, e Boko Haram appare spaccato in tre organizzazioni diverse, tutte peraltro capaci di nuocere e di riconquistare quelle posizioni che l’esercito nigeriano aveva strappato ai terroristi negli anni scorsi. 



Ricordiamo anzitutto che cosa significa “Boko Haram”. La parola “haram”, contrapposta a “halal”, indica nell’islam qualche cosa che è impuro e illecito. “Boko” in Nigeria è originariamente un attributo dispregiativo, che significa “truffaldino”, dell’alfabeto latino, che i colonizzatori inglesi cercarono d’imporre al posto di quello arabo, ma per estensione comprende la cultura, l’educazione e le idee occidentali, cristianesimo compreso. Tutto questo è dichiarato illecito da Boko Haram — che, come spesso accade, non è nato con questo nome, ma quando gli è stato applicato dai media nigeriani non lo ha rifiutato — e votato alla distruzione. Pur non rifuggendo dalla violenza, il movimento originariamente fondato dall’influente imam Muhammad Yusuf (1967-2009) non era un’organizzazione terroristica né aveva un vero e proprio esercito con l’aspirazione a controllare porzioni di territorio nigeriano e a colpire anche i Paesi confinanti. Queste trasformazioni fanno seguito all’assassinio di Yusuf in un carcere nigeriano nel 2009 e all’ascesa di Shekau, riconosciuto come leader del gruppo nel 2010. 



Shekau però è un estremista, il quale considera lecito uccidere i musulmani sunniti che non si ribellano a un governo “apostata” come quello nigeriano. Boko Haram attacca soprattutto i cristiani ma distrugge anche qualche moschea favorevole al governo. Questo provoca nel 2012 lo scisma di una parte di Boko Haram detta Ansaru, che aderisce ad al-Qa’ida, la quale — paradossalmente — ha una linea più moderata quanto alla liceità di uccidere musulmani e attaccare moschee sunnite. La spaccatura riproduce quella in Iraq fra al-Qa’ida e Isis. Infatti, quando nel 2014 l’Isis in Iraq si separa da al-Qa’ida, il gruppo maggioritario di Boko Haram, guidato da Shekau, aderisce all’Isis.



L’adesione ufficiale è annunciata però solo nel 2015, sembra a causa di dubbi dell’Isis sia sul l’estremismo di Shekau sia sulle sue pretese di leadership mondiale, che ne fanno un rivale del califfo al-Baghdadi. In effetti, la relazione fra Boko Haram (fazione Shekau) e Isis è durata solo dal marzo 2015 all’agosto 2016, quando l’Isis ha destituito Shekau e messo al suo posto al-Barnawi. Quest’ultimo si è affrettato a dichiarare che uccidere civili musulmani sunniti che non manifestino apertamente ostilità al califfato non è lecita, anche se la questione è controversa all’interno dell’Isis e Caillet ricorda le posizioni simili a quelle di Shekau di Abu Omar al-Koweiti, alleato dell’Isis in Siria prima di essere giustiziato per estremismo dallo stesso Isis nel 2014.

Shekau però non ha accettato la destituzione, con il risultato che al momento in Nigeria ci sono tre Boko Haram: il gruppo maggioritario di al-Barnawi, che aderisce all’Isis; Ansaru, che fa parte di al-Qa’ida; e la fazione indipendente ed estremista di Shekau. È un mondo dove tutto è provvisorio e i nemici di oggi potranno allearsi di nuovo domani. La frammentazione, e conseguente indebolimento, di Boko Haram dovrebbe essere una buona notizia per i cristiani nigeriani. Ma anche no: perché le varie fazioni potrebbero gareggiare a colpi di attentati per mostrare che esistono e sono potenti.