Il governo britannico inizierà la costruzione di un muro vicino a Calais per impedire l’ingresso dei migranti nel Regno Unito. Lo ha reso noto la Bbc, che cita il ministro degli Interni Robert Goodwill. Il muro sarà alto 4 metri e correrà per 1 chilometro su entrambi i lati della strada principale verso il porto di Calais. Il ministro Goodwill ha affermato che la sicurezza è “calpestata” in quanto i migranti continuano a cercare di salire a bordo di veicoli diretti verso la Gran Bretagna. Ne abbiamo parlato con Franco Frattini, ex ministro degli Esteri ed ex Commissario Ue per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza.



Che cosa ne pensa della decisione di costruire un muro anti-migranti a Calais?

Il muro sull’autostrada di Calais è l’effetto dell’esasperazione che si vive in Gran Bretagna, come del resto in Ungheria o Bulgaria, di fronte all’incapacità dell’Europa nel gestire il fenomeno migratorio. Quando si fa una sorta di “Tana libera tutti”, ognuno si costruisce il proprio muro.



Che cosa sta avvenendo in Europa?

Quello di Calais è l’ennesimo segnale di uno sfaldamento completo dell’Europa, perché malgrado la Brexit il Regno Unito è ancora oggi membro dell’Ue e la Francia è uno dei suoi Paesi fondatori. Si sceglie quindi di ricorrere a soluzioni nazionali, che chiaramente sono l’effetto di una reiterata sfiducia verso la nullità dell’azione europea.

La Merkel ha affermato che la situazione è migliorata rispetto a un anno fa. E’ così?

E’ migliorata dal punto di vista degli interessi della Germania. La rotta balcanica è stata chiusa a forza di muri, ma è ancora oggi stra-aperta la rotta siciliana. Ogni giorno da noi arrivano enormi quantità di persone, che non si distribuiscono più in rotte diverse perché oggi quella italiana è l’unica a essere rimasta agibile.



La cancelliera tedesca ha aggiunto che rifarebbe gli accordi con la Turchia. Condivide questa posizione?

Mi rendo conto che la Merkel ha dei problemi per quanto riguarda la politica interna, ma la situazione non è migliorata grazie all’accordo con la Turchia bensì grazie alla collaborazione che Ankara sta garantendo su base unilaterale.

In che senso?

Oggi la rotta balcanica è chiusa solamente per la buona disponibilità della Turchia, mentre da parte dell’Ue quell’accordo è ancora in larga parte non adempiuto. Si sta parlando del rinvio di un semestre della liberalizzazione dei visti con la Turchia, che era il punto politico più importante che aveva indotto Erdogan a mettere la firma sull’accordo. La Turchia sta agendo con responsabilità, ma bisogna ricordarsi che quell’accordo da parte dell’Ue è stato inapplicato.

E’ l’unico errore commesso finora da Bruxelles?

No. L’Ue è stata completamente nulla nel moltiplicare gli accordi di riammissione con i Paesi d’origine e di transito. Ancora una volta la Merkel parla di accordi con Libia, Tunisia ed Egitto. Di fatto però questi accordi, che sono stati stipulati dall’Italia come Stato nazionale, sono resi non funzionanti per il fatto che manca la ratifica europea.

 

Il milione di profughi presenti in Turchia è un’arma nelle mani di Erdogan. Come disinnescarla?

Noi la dovremmo disinnescare in primo luogo rispettando gli accordi europei. Qualche mese fa il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha ammesso che dei 5 miliardi di euro promessi a Erdogan ne sono stati erogati solo poche briciole. Inoltre non possiamo bacchettare la Turchia ogni giorno per ogni sorta di problemi e nel contempo volere che ci tenga fermi i rifugiati. E’ necessario quindi concedere i visti liberalizzati, perché quando si firma un accordo poi va rispettato.

 

Anche dopo la repressione del colpo di Stato da parte di Erdogan?

Neanche a me piace vedere i giornalisti turchi incarcerati. Ma nel prossimo vertice di Bratislava i capi di governo dovranno stabilire se la Turchia sia ancora un partner dell’Ue. Se ritengono che sia un partner e nello stesso tempo si bloccano i negoziati per l’adesione, conoscendo Erdogan questa cosa durerà poco. Prima o poi la bomba a orologeria dei migranti comincerà a ticchettare.

 

Intanto l’Italia sta accogliendo i profughi che arrivano via mare. Quali alternative avremmo?

Abbiamo solo due alternative. La prima è chiarire se sia stato stracciato o meno l’accordo preso dai capi di governo sulla distribuzione dei migranti e dei rifugiati tra i Paesi che hanno attuato pienamente gli hotspot per l’identificazione. Il nostro governo infatti ha completato gli hotspot al 100 per cento, ma la redistribuzione non è partita. Se l’accordo non è stato stracciato, l’Ue deve ridistribuire i profughi che arrivano in Italia tra i vari Paesi membri.

 

Qual è la seconda alternativa?

Dieci anni fa ho lavorato su una proposta che poi è stata bocciata dal Parlamento Ue, perché ritenne che non era compatibile con i diritti umani, mentre nella realtà è esattamente il contrario. La mia idea consiste nell’affidare all’agenzia per i rifugiati dell’Onu la creazione di centri di identificazione nei Paesi di transito quali Libia e Tunisia. L’obiettivo sarebbe quello di stabilire chi può aspirare allo stato di rifugiato e chi no prima che questi disperati siano partiti.

 

(Pietro Vernizzi)