LIPSIA — Alcune testate importanti in Germania parlano apertamente del problema che il giornalista Jasper von Altenbockum (Faz) riassume così: non si può negare che vi sia un “legame tra immigrazione, criminalità e terrore che intacca l’autorità dello stato”. Ovviamente vi sono anche alcuni buoni argomenti per tenere distinti i due fattori, terrore e immigrazione. “Il calcolo dei terroristi è proprio quello di incorporare tutto con tutto. Oltre a ciò non vi è un legame casuale: non vi è il terrore perché c’è l’immigrazione, e tuttavia c’è un legame. I punti deboli del diritto di asilo e di soggiorno sono diventati i punti deboli della sicurezza e diventano, riguardando vite umane, punti deboli di uno stato” (Jasper von Altenbockum).
A quali fatti si riferiscono queste riflessioni? All’attacco terroristico al mercatino di Natale a Berlino, che è costato la vita, come è noto, anche ad una giovane ragazza italiana, Fabrizia Di Lorenzo. Si riferiscono però anche alla notte di san Silvestro a Colonia, non a quella del 2015, che aveva fatto notizia in tutta la stampa europea, ma a quella dell’anno appena passato.
“La notte di san Silvestro del 2016 è stata peggio di quanto si possa pensare. Quest’affermazione non riguarda le centinaia di vittime degli eccessi di violenza davanti al duomo di Colonia dell’ultimo giorno dell’anno del 2015, perché un tale delitto è stato quest’anno ampiamente evitato dalla polizia. Vi è qualcosa però che è anche peggio: un lungo tormentato anno, a partire dalla rimozione iniziale, seguito dai dibattiti e dai reciproci rimproveri, non ha avuto alcun influsso su coloro che si danno appuntamento a san Silvestro per compiere atti di violenza” (Dirk Schümer, Die Welt). Di fatto anche quest’anno sono arrivate una migliaio di persone, migranti dal Nord Africa a Colonia e non per festeggiare pacificamente, ma per compiere atti di violenza.
In una mia recente lettera mi sono occupato del problema complesso delle cause della migrazioni dall’Africa, ora vorrei concentrarmi su questo stesso problema visto però dall’Europa e in modo particolare visto dalla Germania.
Il ministro degli Interni, Thomas de Maizière, ha tracciato delle direttive per tentare di risolvere il problema. Le trattative per se stesse sono una confessione di perdita di controllo da parte dello stato. Esse rappresentano un punto debole nella mancanza di controllo efficace da parte dello Stato delle persone che entrano al suo interno: come espellere chi rappresenta un pericolo per lo Stato medesimo e ancora più per le persone che vivono in esso? Nel caso del presunto terrorista di Berlino era chiaro a tutti che egli fosse pericoloso. Non è stato espulso perché lo Stato di provenienza non lo voleva, perché lo riteneva a sua volta pericoloso.
Nelle sue direttive de Maizière vorrebbe che la possibilità di espellere una probabile terrorista fosse compito dello Stato e non dei Länder, che in alcuni casi vogliono leggi più tolleranti o non sono disposti a riconoscere determinati paesi come paesi sicuri in cui si possono rimandare le persone presunte pericolose.
L’idea del ministro degli Interni è quella di creare delle zone transit negli aeroporti, in cui poter verificare con un procedimento veloce chi si lascia entrare o meno nel proprio paese. Questo permetterebbe di risolvere il problema all’origine, prima di un trasferimento del “migrante” nei comuni.
Le direttive di de Maizière prevedono anche un’espulsione ai confini dell’Europa. Da mie informazioni avute da giovani studenti che sono stati nei diversi campi nei Balcani so che questa soluzione non è per nulla ottimale, perché la condizione di vita in essi è del tutto disumana. Nelle sue direttive, de Maizière spiega inoltre che il trattato dell’Ue con la Turchia non prevede l’espulsione di persone provenienti per esempio dai paesi del Nord Africa. Qui la soluzione sarebbe quella di riconoscere gli stati del Maghreb come sicuri. Il presidente del Consiglio dei Verdi in Baden- Württemberg, Winfried Kretschmann, è disponibile a questo riconoscimento, ma esso non è appoggiato dai Verdi in altri Länder.
Come ho spiegato nella mia precedente lettera, l’espulsione in Africa non è la risoluzione del problema, ma non si può negare che uno Stato debba in primo luogo occuparsi della salvaguardia dei propri cittadini e che una regolazione statale del flusso di migranti comporta di individuare nel più breve tempo possibile tra chi è realmente migrante e chi non lo è: un dovere statale primario, se non si vuole che la messa in discussione delle scelte centrali superi di molto i livelli ragionevoli di guardia.
A lungo termine, ma non troppo lungo, sarà necessario un esame severo delle responsabilità europee verso l’Africa e la assunzione di questo continente come una parte in dialogo che permetta di trovare soluzioni nel reciproco rispetto. Soluzioni in cui si valorizzino, in modo “non violento” come ricorda papa Francesco, tutte quelle realtà che sono interessate a creare e sostenere giustizia e pace.