Europa sì, ma non troppa, né troppo poca. Lo ha detto ieri in conferenza stampa il neopresidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, eletto con 351 voti contro i 282 avuti da Gianni Pittella. Tajani, tra i fondatori di Forza Italia, poi una carriera politica in Europa, sostituirà Martin Schulz. “Credo nell’Europa, ma abbiamo bisogno di cambiare” aveva detto Tajani nel suo discorso in aula prima del voto; un segnale d’allarme lanciato in giorni molto difficili per l’Unione, presa nel mezzo tra le bordate di Trump e la “hard Brexit” rivendicata esplicitamente dal premier britannico Theresa May. Mario Mauro, senatore di Gal, è stato vicepresidente del parlamento europeo nel 2014, prima di Gianni Pittella, e ha sostenuto la candidatura di Tajani. “La sua elezione — spiega Mauro al sussidiario — è un grande risultato per l’Italia e per l’Europa, un appuntamento che il nostro paese ha onorato con due ottime candidature…”. 

Però, senatore?

Il vero fatto politico di questo voto è la rottura della grande coalizione in Europa. Riesce a recuperarmi quello che ha detto Pittella nel suo discorso?

“Non ci sarà più una grande coalizione, un’intesa privilegiata tra i grandi gruppi, perché c’è bisogno di chiarezza, di una visione limpida e civile, che è cosa diversa da instabilità e paralisi”.

Ecco, apparentemente i socialisti rompono la grande coalizione per una ragione politica profonda, in realtà lo fanno per una questione di bottega che discende direttamente da un madornale errore di Matteo Renzi a inizio legislatura europea (nel 2014, ndr).

Si spieghi meglio.

La ragione dichiarata per far saltare l’accordo è rompere con l’Europa dell’austerità. Però l’accordo, siglato nero su bianco da popolari e socialisti a inizio legislatura, prevedeva per i socialisti la presidenza del Consiglio europeo. E quella poltrona aveva un candidato naturale in Enrico Letta. 

Quindi?

Renzi, in spregio alle qualità dell’avversario, ha rinunciato a nome della famiglia socialista alla presidenza del Consiglio europeo volendo a tutti i costi per Federica Mogherini il posto di lady Pesc. Intanto la legislatura esordiva con la presidenza del Parlamento affidata ai socialisti perché proseguiva il mandato di Martin Schulz (2012-2017, ndr), ma era messo per iscritto nell’accordo tra popolari e socialisti che a metà legislatura un popolare avrebbe preso il posto di un socialista.

Così Renzi prima ha fatto perdere ai socialisti la presidenza del Consiglio europeo, poi ha rotto il patto con i popolari per ri-legittimare una candidatura socialista alla presidenza del Parlamento. I socialisti saranno arrabbiati con lui.

Sì, molto. Sono rammaricati perché le faide italiane del Pd oltre ad avere pesanti conseguenze per la legislatura in Italia le hanno anche in Europa. 

Veniamo a Tajani. La sua elezione inciderà in qualche modo anche nel quadro italiano? 

Sì, perché l’elezione è frutto di un’alleanza inedita: popolari (Ppe), conservatori (Ecr) e liberali (Alde). Ma mentre i liberali non hanno in questo momento corrispondenti credibili in Italia, i conservatori hanno Raffaele Fitto. Di fatto si ristabiliscono i rapporti tra Forza Italia e l’ex che più aveva contestato il partito di Berlusconi.

 

Questo cosa comporta?

Vuol dire che l’intesa che è difficile ottenere in Italia perché le tensioni post-Pdl sono ancora rilevanti, può essere aggirata per via europea. Non è una novità, perché tante volte in passato i rapporti tra Forza Italia e centristi italiani sono stati ricomposti in Europa.

 

D’accordo. E nel merito delle vicende che ci riguardano più da vicino?

L’elezione di Tajani allontana lo spettro da molti paventato di un Berlusconi che va al Nazareno bis: se si rompe la grande coalizione su scala europea, ha poco senso che si insista a riproporla in Italia. Non solo. L’elezione di Tajani con il voto di Fitto mette in grossa difficoltà il partito di Alfano. 

 

Perché il patto Renzi-Alfano riproduce in piccolo la coalizione di popolari e socialisti?

Sì. Alfano dovrà spiegare ai sui elettori perché insiste a fare il partner di un Pd che tramite il suo autorevole candidato alla presidenza del Parlamento europeo ha certificato la fine della grande coalizione.

 

Veniamo a Tajani nuovo presidente.

La sua figura si presta a saldare le forze del Ppe con i partiti del centrodestra italiano. In sede europea ha condotto per lungo tempo una forte battaglia identitaria sulle radici giudaico-cristiane dell’Europa. Un fedelissimo di Berlusconi assomma quegli aspetti che agli occhi di Lega e Fratelli d’Italia lo fanno percepire come un protagonista del cambiamento che serve oggi all’Europa.

 

Lei parla di cambiamento. Non le sembra invece che siamo all’ultimo atto?

L’Europa presenta un’oggettivo deficit di democrazia, che fa tutt’uno con la complicata alchimia della costruzione europea — fatta di decisioni prese lontano dal popolo nelle mani di una tecnocrazia non sempre trasparente — e con il comportamento autoreferenziale di molti governi, in primis quello tedesco. Questo può portare effettivamente alla fine dell’Europa. Senza dimenticare Trump, che pone all’Unione gravi domande di senso e strategia.

 

Direi che c’è tutto. Non crede che a questo punto sia necessaria una profonda revisione dei trattati?

Certo che è necessaria. Ed è complicata non perché sono difficili le procedure da attivare, ma perché richiede una forte volontà politica. Il compito ora è quello di costruirla.

 

(Federico Ferraù)