Doveva parlare Theresa May e, per carità, le ha cantate chiare all’Europa: la nuova premier inglese non fa un millimetro di retromarcia rispetto alla Brexit, anzi la vuole rapida e totale. Ma prima di lei – e in qualche modo “sopra” di lei – ha parlato Donald Trump, fino a domani “Twitter in chief”, ma dal 20 gennaio “Commander in chief” degli Stati Uniti d’America. E con il suo stile politicamente scorretto – da vero cafone, diciamolo pure – ha però snocciolato tre o quattro maxi-verità indicibili, che i salamelecchi della diplomazia da vecchie feluche del vecchissimo continente dissimulano, ma che tutti pensano, anzi pensiamo. Ha detto che la Brexit sarà “un grande successo”, e che gli Stati Uniti concluderanno “rapidamente” un accordo commerciale con il Regno Unito, che assicurerà condizioni vantaggiose a entrambi, aggiungendo che secondo lui “altri paesi lasceranno l’Unione europea”, seguendo l’esempio della Gran Bretagna. E perché? 



Ecco l’altra grande verità, da far storcere il naso ai cervellini fini che hanno contribuito allo sfascio della costruzione europea come l’avevano pensata i grandi del passato, da De Gasperi ad Adenauer, da Delors a Schmidt: secondo “The Donald”, il motore della disintegrazione europea sarebbe la crisi migratoria e la colpa sarebbe in gran parte della cancelliera tedesca Angela Merkel, che avrebbe commesso un “errore catastrofico” aprendo le porte ai migranti e contemporaneamente trasformando l’Ue in “un veicolo per la Germania”. Questo si chiama parlare chiaro. E la storia non fa sconti, quando gli Stati Uniti mostrano i pugni, da sempre – dalle cannonante autolesionistiche con cui un U20 di Berlino affondò il Lusitania il 7 maggio del 1915 – la Germania trema e l’Europa respira.



Da quando nel ’45 la guerra è stata sottratta alla sovranità tedesca – e non l’è mai stata restituita, nemmeno dopo la caduta del Muro, perché paradossalmente sul fronte militare l’Europa non si fida di Berlino! – l’egemonismo metabolico basale della Germania si è riconvertito alla supremazia economica perseguita come obiettivo fine a se stesso, ed effettivamente a oggi il potere tedesco sui Paesi partner dell’Unione europea è assoluto, complice anche l’inedita afasia politica dei francesi. Ma la cosa dà molta noia a Washington, e l’asse altrettanto storico degli Usa con Londra si ripropone, il protettorato americano appare da sempre ai pur insulari britannici assai preferibile a qualsiasi contaminazione vassalla con un’Europa germanocentrica.



Dunque la May ha parlato e ha detto quel che i mercati scontano da mesi, che cioè la collaborazione di Londra con l’Unione europea resterà, “sulla sicurezza, sul commercio principalmente, abbiamo molto in comune, non siamo e non saremo nemici, ma il Regno Unito uscirà dal mercato unico europeo, vuole volare da solo, senza lacci, senza regolamentazioni eccessive, senza tribunali di giustizia non sovrani, è la premessa necessaria per una ‘Global Britain'”. 

Dunque il mercato unico europeo non interessa alla May, la libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone non interessa al governo britannico. Importante sottolineare che in queste ore convulse i dati economici britannici sono stati positivi, addirittura la sterlina si è rivalutata sul dollaro. I mercati danno fiducia. 

E si può scommettere che in questo nuovo corso della politica estera americana la sponda britannica farà comodo a Trump e quella statunitense aiuterà Londra a trasformare la Brexit in un successo. Il nuovo isolamento tedesco si coronerà con l’abrogazione delle sanzioni alla Russia, e una nuova Yalta, costruita sui dollari e non sui cannoni, rivedrà seduti fianco a fianco i leader di New York, Mosca e Londra. Peggio per gli europei, che hanno di nuovo piegato la testa a Berlino.