Il Grande imam di al-Azhar, durante una recente intervista televisiva, ha aperto la strada a una possibile svolta nei rapporti dell’islam con il resto del mondo. Ahmed al-Tayeb ha infatti messo in discussione il concetto di dhimma, l’istituzione che ha caratterizzato i rapporti tra musulmani e popoli conquistati fin dagli inizi dell’espansione islamica. Più precisamente, i rapporti con le cosiddette “genti del Libro”, cristiani, ebrei e zoroastriani, ai quali veniva riconosciuto lo stato di dhimmi, cioè “protetti” in cambio del pagamento di una particolare imposta, ma con la restrizione di una serie di diritti riconosciuti invece ai musulmani. Al-Tayeb ha definito questa istituzione ormai sorpassata, anche se ne ha elogiato l’importanza storica, sottolineando gli aspetti di protezione, ma sottacendo quelli di effettiva discriminazione dei non musulmani. Proprio questa discriminazione è stata uno dei fattori non secondari del progressivo passaggio all’islam della maggioranza delle popolazioni dei Paesi conquistati. Una situazione in passato non certo tipica del solo islam, tuttavia ancora presente in certe concezioni dell’islam e ripresa in modo violento dallo stato islamico.
La vera apertura nel discorso dello sceicco è data dall’affermazione dell’uguaglianza dei cittadini, qualunque ne sia la religione derivante dall’appartenenza a uno stesso Stato. Un’affermazione decisamente “laica”, perché il principio dell’uguaglianza è fondato sulla cittadinanza di uno Stato e non più sulla umma, la comunità musulmana, e che desterà probabili reazioni negative nell’islam più tradizionale.
La moschea di al-Azhar del Cairo e il suo Grande imam rappresentano il punto più autorevole del mondo sunnita, ma senza un’effettiva autorità nei confronti degli altri musulmani. E’ quindi probabile che la posizione di al-Tayeb venga contestata nello stesso Egitto dai gruppi salafiti e dai Fratelli musulmani, soggetti a una dura repressione da parte del regime militare. Le dichiarazioni del Grande imam hanno infatti anche una decisa valenza politica e rimane difficile non collegarle al discorso che il presidente egiziano al-Sisi fece nel gennaio del 2015 proprio ad al-Azhar. In quell’occasione, il generale invocò una rivoluzione religiosa per sradicare il fanatismo e impedire che l’islam continui a essere percepito dal resto del mondo come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione”.
E’ comunque significativo che tutto ciò avvenga in Egitto, non solo per la sua storia e per la presenza di una consistente minoranza cristiana, ma tenendo conto del dibattito avvenuto sulla Costituzione dopo la cacciata di Mubarak. Allora si fronteggiarono tre posizioni: chi voleva una Costituzione del tutto laica, chi sosteneva la sharia come unica o principale fonte di diritto e chi proponeva una Costituzione in cui la sharia fosse citata come una delle fonti, una formula cioè laica ma non laicista. La Costituzione del 2013 definisce l’Egitto uno Stato “civile”, in cui i principi della sharia, non la sharia in quanto tale, sono fonte principale del diritto. Il ruolo attribuito alla sharia è il punto fondamentale, in quanto determina il grado di confessionalità dello Stato e, quindi, la limitazione della libertà religiosa e la discriminazione, più o meno “protettiva”, verso i non musulmani.
Non è la prima volta che al-Tayeb prende posizione contro il fondamentalismo islamico, suscitando consensi e altrettante, se non maggiori, contestazioni nel mondo musulmano. E’ ciò che è avvenuto l’anno scorso a seguito della conferenza internazionale tenutasi nella capitale cecena, Grozny, in cui vennero nettamente condannate le correnti salafite. In quell’incontro ebbe particolare rilevanza, per la sua autorevolezza, l’intervento di al-Tayeb, che suscito violente reazioni da parte del clero wahabita dell’Arabia Saudita. Anche in quel caso la questione fu, per così dire, buttata “in politica” e i sauditi accusarono lo sceicco di voler mettere l’Egitto contro l’Arabia Saudita e di essere al servizio del governo militare.
Diversi commentatori hanno sottolineato anche un altro passaggio dell’intervista sui dhimmi, in cui al-Tayeb afferma che i cristiani non devono essere neppure definiti una minoranza, perché questo termine è caricato di “connotazioni negative”. Una affermazione che potrebbe essere utilizzata però con modalità non positive, perché anche la soppressione delle differenze è una forma di discriminazione. Resta il fatto che queste esternazioni rappresentano aperture di cui tener debito conto, o meglio, sulle quali i musulmani dovrebbero riflettere a fondo, vista anche la fonte autorevole da cui provengono. Una strada comunque in salita, ma, per quanto la strada si mostri lunga e difficoltosa, l’essenziale è cominciare a camminare.