NEW YORK — Mezzo milione a Washington DC, altre decine di migliaia nelle oltre 600 – così si dice – manifestazioni in giro per gli States. Per non contare raduni vari di qua e di là nel mondo. Cuffiette rosa in testa con orecchie da gatto, cartelli, slogan, aria di festa, spunti di acidità intellettuale, e qualche episodio di violenza gratuita…



Teresa Shook, giudice in pensione e pure nonna, non si immaginava certamente una risposta di questo genere quando dalle sue Hawaii aveva buttato lì l’idea ad una quarantina di Facebook friends. Trump si insedia come nuovo presidente? Marciamo su Washington! Sembrava una boutade, e invece si è messa in moto una mezza valanga. Potenza dei social media, ma soprattutto potenza del clima che si sta generando, perché per provocare una valanga occorre uno strappo, una spaccatura, un inatteso distacco. Global warming? Beh, sulla east coast effettivamente l’inverno lo stiamo sentendo proprio poco, ma in questo caso direi piuttosto che siamo pericolosamente in preda a un’ondata di “global ideologizing”. L’effetto è devastante, come quando l’uomo bianco portava whiskey e coperte infette agli indiani trovandoli impreparati e privi di difese.



Così sono gli americani di oggi rispetto a quel che sta accadendo: impreparati, privi di difese (sociali, culturali, intellettuali) e conseguentemente esposti al contagio del pregiudizio. Abbiamo appena eletto un presidente, il quarantacinquesimo, ma è come se fossimo ancora in campagna elettorale. Ci si fa la guerra senza esclusione di colpi. Solo che è molto peggio che essere in campagna elettorale, perché un presidente ce l’avremmo, ma apparentemente metà del paese non ne vuole sapere e lui, il presidente, non pare proprio disposto a prestare l’orecchio a quella metà del paese che non è con lui. 



Quello che vedono gli uni, per gli altri non esiste e come sempre quando lo scontro si fa ideologico la grande vittima è la realtà delle cose. Che si tratti di occupazione, sanità, criminalità ognuno racconta quel che vuole, ognuno ascolta la campana che vuole ascoltare, ognuno crede quel che vuole credere. Se c’è un sentimento che domina la scena, un sentimento che pervade lo sguardo che ci si rivolge l’un l’altro è una guardinga ostilità. In ventitré anni d’America non mi era mai capitato di camminare per strada guardando e sentendomi guardare col pensiero “…ma tu, con chi stai?”.

Trump, sicuramente il presidente più “selvatico” (e probabilmente anche più impreparato) che abbiamo mai avuto, ha già dichiarato guerra a tutto quello che Obama ha fatto e soprattutto al sistema politico (a “Washington”) che persegue i suoi propri interessi ignorando “the American people”. Metà America ha dichiarato guerra a Trump prima ancora che sollevasse un dito. Saranno tutti così i prossimi quattro anni? Forse ci aspetta una nuova guerra di secessione combattuta a suon di manifestazioni, social media e ribaltoni normativi? 

Ho sentito alcuni “sapienti” paragonare la marcia delle donne alla grande mobilitazione del 1963, quella del celeberrimo “I have a dream” di Martin Luther King e francamente non so come sia loro venuto in mente. Ho acceso la Tv per vedere come funzionasse la cosa e mi sono imbattuto in Madonna, una che quando ero giovane mi affascinava anche. Era lì a cantare (male) e a dir parolacce. Per carità, mica mi scandalizzo per questo, ma se uno fosse in grado di dire anche qualcos’altro sarebbe meglio. Conosco poche figure che come Madonna si ergono a paladine della fraudolenta mercificazione della donna che si ostina a far finta di essere giovane, come se la vita avesse valore solo se riesci a sembrare giovane e tutta in tiro. Già mi ero infastidito alla cerimonia dei Golden Globes con Meryl Streep che parlava di persecuzione ai suoi pari — e noi che pari suoi non siamo la ascoltiamo allibiti, perché tra tutti i perseguitati del mondo le maschere hollywoodiane non riusciamo proprio a farcele entrare.

E Trump cosa fa? Replica parlando solo ai suoi, indispettito e prepotente.

“There must be some way out of here, said the joker to the thief…”, direbbe Bob Dylan. “Ci deve essere una via d’uscita, diceva il buffone al ladro…”.

Non sappiamo ancora chi sia il buffone e chi il ladro. Ci sono timori giustificati e ci sono altrettanto giustificate speranze. Ma c’è solo un metodo per cui i primi non diventino incubi e le seconde maturino frutti buoni: sconfiggere il pregiudizio e mettere in gioco i propri ideali sfidandosi civilmente sui temi della nostra convivenza in questo paese.

Come ama dire un caro amico, non si deve dimenticare che vince sempre chi abbraccia più forte.