NEWCASTLE — Il verdetto alla fine è arrivato. La suprema Corte britannica (11 giudici, 8 a favore e 3 contrari) ha decretato che l’ultima parola sulla decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea spetta al Parlamento e non al governo. 

La motivazione principale di tale pronunciamento, hanno spiegato i giudici, risiede nel fatto che l’uscita dall’Ue avrà un effetto su alcune leggi nazionali (collegate a leggi europee) e alcuni diritti e l’assetto costituzionale britannico prevede, in questi casi, che tali cambiamenti vengano autorizzati dal Parlamento.



Allo stesso tempo la Corte ha stabilito anche che per approvare l’uscita dall’Ue non sarà necessario il voto dei parlamenti autonomi di Scozia, Galles e Nord Irlanda (verdetto altrettanto importante, visto che la Scozia si è detta più volte contraria all’uscita).

Nonostante il governo auspicasse un verdetto diverso David Davis, ministro per la Brexit, ha prontamente dichiarato che il governo rispetterà il pronunciamento della Corte ma che tale verdetto non condizionerà la decisione di uscire dall’Ue (“il punto di non ritorno è già passato”, ha detto Davis) e, anzi, che presenterà nei prossimi giorni una legge “netta” in materia per essere votata in Parlamento.



La Corte, va ricordato, è stata molto chiara nello specificare che il suo verdetto riguarda il rispetto dell’assetto costituzionale inglese nel processo di uscita dall’Ue e non ha nulla a che vedere con la decisione di uscire in quanto tale.

Dal punto di vista pratico, quali potrebbero essere le conseguenze di tale pronunciamento sulla Brexit?

La maggioranza degli osservatori politici sottolineavano oggi (ieri, ndr) nei media britannici che, seppur possibile in linea teorica, è altamente improbabile che il Parlamento voti contro l’uscita dall’Ue o che comunque ostacoli tale processo.



La maggioranza dei parlamentari conservatori e laburisti si sono espressi a favore della Brexit, per rispettare la volontà del popolo britannico (e dei propri elettori), e appare difficile ipotizzare un’improvvisa retromarcia: anche se il partito nazionale scozzese, i liberaldemocratici ed eventualmente alcuni parlamentari dei due maggiori schieramenti dovessero votare contro (cosa probabile) non avrebbero comunque i numeri per bloccare la legge.

Dal punto di vista delle tempistiche, David Davis ha dichiarato che ci sono i tempi tecnici perché l’atto venga votato in Parlamento in tempo per permettere al primo ministro May di invocare l’articolo 50 entro la fine di marzo, come preannunciato nei mesi scorsi.

Va detto però che la discussione in Parlamento potrebbe rivelarsi “movimentata”: alcuni parlamentari potrebbero chiedere al governo di pubblicare e discutere un documento più dettagliato sul piano di uscita dall’Ue di quanto dichiarato da May nel suo discorso di martedì scorso (questo appare il punto centrale ad oggi), oppure potrebbero chiedere di avere un voto parlamentare al termine del negoziato con l’Ue valutando i contenuti dell’accordo; potrebbero anche (come dichiarato da alcuni parlamentari Labour) presentare emendamenti alla legge su alcuni elementi specifici (per esempio per evitare la creazione di un regime di bassa tassazione, ipotesi paventata da May nei giorni scorsi). Questo potrebbe generare accese discussioni in Parlamento che potrebbero da una parte ritardare l’invocazione dell’articolo 50 rispetto ai piani originali e dall’altra portare il governo a rivedere alcuni piani. 

Il verdetto della Corte ha reso ancora più evidente quello che sembra essere il punto chiave della discussione in UK in questo momento, cioè la relazione tra rispetto della volontà popolare (esito del referendum del giugno scorso), rispetto del principi costituzionali ed esercizio della sovranità popolare (che spetta al Parlamento) e ruolo del governo. Dopo il verdetto odierno i parlamentari potrebbero decidere di incalzare maggiormente il governo rispetto alle decisioni da prendere e alle scelte da fare. 

In sintesi, la sensazione al momento è che se sembra improbabile un voto contrario alla Brexit potrebbe però essere necessario per il governo condividere maggiormente le proprie strategie, specificare alcuni aspetti particolari, favorire un dibattito sui punti più controversi del piano di uscita e via dicendo: se non il cosa (la Brexit), il verdetto della Corte e il riconoscimento del ruolo centrale del Parlamento potrebbero condizionare il quando, il come e il perché di tale processo.