Nonostante la prontissima ricostruzione che ha fatto la procura di Tripoli dell’attentato alla nostra ambasciata, identificando gli attentatori in uomini legati al generale Khalifa Haftar, non è ovviamente possibile sapere cosa sia veramente successo: se l’obbiettivo era davvero la nostra ambasciata e chi sia la mente dietro all’episodio. Per Gian Micalessin, reporter di guerra del Giornale, una cosa è certa: Haftar, che ci definisce “nipotini di Mussolini” e che ha rifiutato il nostro sostegno per l’apertura di un ospedale da campo a Misurata, è decisamente schierato contro il nostro Paese. Il motivo? “Il ruolo che l’amministrazione Obama ci aveva affidato di principali paladini e sostenitori del governo Serraj di Tripoli e che adesso vede gli americani completamente scomparsi dalle scene visto che a Trump della Libia non può interessare di meno”.
Micalessin, che ne pensa della ricostruzione ufficiale fatta dalle autorità di Tripoli dell’attentato di qualche giorno fa?
In Libia le verità sono sempre oscure, difficile prendere per oro colato quello che viene detto. Le autorità di Tripoli hanno tutto l’interessa a dipingere Haftar come colpevole di questo pseudo-attentato, ma si tratta di dichiarazioni da prendere con le pinze.
E’ però un dato di fatto che da tempo il generale Haftar dimostra un’aperta ostilità contro di noi, definendo nuovi atti di colonialismo anche gli aiuti medici del nostro paese. Perché fra i vari attori in campo proprio l’Italia?
Perché l’Italia è stata uno dei principali sostenitori del governo Serraj che ha relegato Haftar in una posizione esterna. Come sappiamo è in atto uno scontro tra Tobruk e Tripoli e noi siamo visti paladini di Serraj. Poi, come dai tempi di Gheddafi, un po’ di propaganda va sempre bene per difendere i propri interessi e si tira in ballo il ruolo che abbiamo avuto in Libia al tempo del colonialismo.
Come si sta muovendo Alfano secondo lei?
Alfano il capitolo Libia non lo conosce perché non se n’è mai occupato. Il grande gestore del capitolo Libia era Minniti, penso che continui a occuparsene anche oggi. E’ stato lui a riaprire l’ambasciata di Tripoli. Ma il dossier Libia in questo momento va rivisto, perché manca il perno fondamentale su cui è stata costruita la messa al potere di Serraj.
Quale?
L’amministrazione Obama, che ci ha dato il ruolo di primi suoi difensori. Solo che adesso Obama non c’è più e Trump è ben lontano anche dal pensare alla Libia, un capitolo che per l’America è sempre stato di scarso interesse nell’ambito del Nord Africa e de Medio Oriente. A questo punto Serraj rischia di ritrovarsi del tutto isolato, con la sola Italia dietro le spalle.
Mentre la Russia ha promesso armi per due milioni di dollari a Tobruk.
La Russia ha già fatto capire da tempo che la sua preferenza è per Haftar. Mosca vuole partecipare al grande gioco libico riprendendosi quello che la finta rivoluzione contro Gheddafi aveva interrotto.
Cioè?
Un ruolo di primo piano nella spartizione delle risorse energetiche del paese che proprio l’Italia aveva garantito con l’accordo del 2011 tra Eni e Gazprom, poi interrotto dalla guerra, e che adesso Mosca vuole riprendersi.
Il futuro della Libia sarà dunque una divisione Tripoli-Tobruk definitiva?
La divisione tra Cirenaica e Tripolitana è storica, bisogna vedere quali sono i rapporti di forza in campo. Haftar è nemico delle forze islamiste che invece sostengono Serraj, ma la Tripolitania è tutt’altro che islamista. Haftar è l’unico oggi che può vantare un vero esercito, si potrà arrivare a un accordo se Russia ed Egitto che sono alleati riusciranno a portarlo a termine.
Cosa ne pensa del piano dell’Unione europea per chiudere la rotta dei trafficanti dando alla Libia i mezzi per avere un ruolo di controllo nelle acque territoriali?
E’ un piano in teoria perfetto ma che in pratica fa acqua da tutte le parti.
Perché?
Serraj è incapace di controllare anche il cortile di casa sua, figuriamoci se riesce ad avere il controllo del territorio. Non ha alcun controllo sull’economia e sulle milizie, qualora lui firmasse questo piano firmerebbe anche la propria defenestrazione. Verrebbe messo da parte dalle milizie che detengono il potere e che si avvalgono dei 300 milioni di dollari l’anno che guadagnano con il traffico di clandestini, quello stesso denaro di cui neanche lui può fare a meno. Inoltre se il controllo passasse alla guardia costiera libica, si rischierebbe che la maggior parte del personale passa dalla parte dei trafficanti, come già successo, che garantiscono guadagni ben più significativi.
(Paolo Vites)