NEW YORK — “Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati…”. Domenica mattina milioni di cattolici americani si sono sentiti ripetere il discorso della montagna, una di quelle cose che se appena uno le prende un po’ seriamente fan tremare le vene ai polsi.
Qualunque predica sia poi seguita nelle 17.900 parrocchie sparse per gli Stati Uniti, inevitabilmente tutti i fedeli d’America si saranno trovati a fare i conti con la propria coscienza. Di questi tempi ognuno conta come vuole, ma sia che si tratti di fatti reali o “alternative”, sembra che i conti non tornino. Che siano il numero di sostenitori presentatisi a Washington DC per la “Inauguration” del presidente, o quello dei partecipanti alle due gigantesche marce da cui siamo reduci. Due gigantesche marce che sembrano procedere in senso opposto: quella in difesa dei diritti delle donne, primo grandioso epifenomeno dell’opposizione popolare al nuovo presidente, e quella in difesa dei diritti della vita, venerdì scorso come ogni anno dal 1974. Quest’ultima sostenuta a spada tratta (anche e soprattutto nei confronti dei media) dall’amministrazione Trump, rappresentata sul campo dal vicepresidente Mike Pence.
Penso che a questo punto anche di là dell’oceano si sia capito che l’America sta viaggiando a grandi passi verso “uncharted waters”, i territori inesplorati di una situazione politica e sociale di grande confusione in cui sospetto e astio tra fazioni rendono impossibile il dialogo ed avvelenano la quotidianità.
Cosi come mi sembra inammissibile opporsi ad un presidente democraticamente eletto senza neanche dargli la possibilità di muovere i suoi primi passi (tra l’altro venendo meno ad una consolidata tradizione di cultura civica ed amor patrio per cui il presidente che non ho votato resta in ogni caso e senza ombra di dubbio il “mio” presidente, chiamato a fare il bene del “mio” paese), altrettanto legittimo mi sembra poter esprimere valutazioni e giudizi rispetto alle mosse che via via Trump comincia a fare.
Ed è innegabile che le prime mosse del neo-presidente sembrano voler materializzare le intenzioni espresse in campagna elettorale, punti sbandierati — si pensava — demagogicamente, cose che si sarebbero ripensate, discusse, ridimensionate. E invece “Donald il frettoloso” si è immediatamente lanciato alla firma di “executive actions”, provvedimenti normativamente deboli, ma di grande impatto emotivo. Così in quattro e quattr’otto ha ordinato la costruzione del muro lungo il confine con il Messico, il taglio di fondi pubblici a Ngo che promuovono l’aborto in paesi del terzo mondo, lo smantellamento dell’ObamaCare, e la cancellazione del programma di accoglienza rifugiati rispetto a sette paesi a maggioranza musulmana e considerati “a rischio esportazione terroristi”: Yemen, Iran, Iraq, Siria, Sudan, Libia, Somalia.
Quest’ultimo provvedimento, scattato nel weekend, ha gettato nel caos tutti gli aeroporti internazionali del nostro territorio, generato manifestazioni di protesta un po’ dovunque ed innescato atti di disobbedienza politica da parte di numerosi sindaci di quelle che chiamiamo “Sanctuary Cities”, città dove in qualche misura si è imparato a convivere con l’immigrazione clandestina. Centinaia di persone provenienti dai paesi sopra citati arrestate all’arrivo negli States, a prescindere dal fatto che avessero un regolare Visa d’ingresso (di solito ottenuto dopo un paio d’anni di vaglio da parte delle Autorità dell’Homeland Security), o addirittura la Green Card (permesso di permanenza illimitato). Amaro in bocca per tutti i libertari, ma rabbia anche per i nemici degli immigrati, perché cosa sono sette paesi? Forse che egiziani e sauditi son tutti buoni? E’ bastata poi la pronuncia di un giudice federale per bloccare temporaneamente l’ordine di deportazione — perché come accennavo, una “executive action”, a differenza di un “executive order”, è più un’azione fondata su di una petizione di principio che poi dovrà diventare norma piuttosto che una legge in senso pieno. E comunque già nel pomeriggio di ieri l’amministrazione ha rilanciato con un minimo di direttive più dettagliate e ragionevoli, a cominciare dal diritto a rientrare nel paese per chi è in possesso di Green Card.
Nel frattempo infuria il dibattito: è così che si combatte il terrorismo? E’ questa l’America? Non è un passo che avremmo già dovuto fare anni fa? Ci sono forse immigrati di questi paesi che hanno compiuto atti terroristici sul nostro territorio? Quanti saranno quelli che da noi accolti in questi anni, stanno lavorando per colpirci? Ma non erano questi paesi che già l’amministrazione Obama teneva nel mirino? Perché essere tolleranti verso chi non è tollerante nei nostri confronti?
Tutto ed il contrario di tutto, con faziosità e violenza verbale di rara intensità, mistificando numeri, fatti, raccontando verità parziali sia da una parte che dall’altra.
Trump tutto determinato a far la parte di colui che è capace to get the job done, capace di mantenere le promesse fatte, ed i suoi nemici, i non violenti, che lo lapiderebbero su due piedi.
E non c’è niente da fare, la violenza chiama solo violenza ed il massacro del Quebec, tragedia dell’odio dell’ultima ora, sembra documentare lo sdoganamento dell’estremismo anti-musulmano. Qualcuno sente che ci sono dei conti in sospeso e persegue la sua giustizia, una giustizia che non ha nulla a che fare con quella degli altri.
Così i conti non tornano, soprattutto quelli della coscienza.
Ma quel discorso della montagna c’entra niente con tutto questo?