Cinque giorni dopo la stage di capodanno il terrorismo torna a colpire la Turchia, questa volta a Smirne, città nella quale non a caso si sono concentrate le indagini delle autorità sulla strage di Istanbul. Sotto attacco infatti il Palazzo di giustizia dove tre assalitori, dopo aver fatto esplodere un’autobomba davanti all’ingresso, si sono infilati facendo fuoco. Il conteggio delle vittime appare fortunatamente contenuto, un poliziotto e un impiegato, mentre due dei tre assalitori sono stati uccisi. “Siamo davanti a un attacco in grande stile dell’Isis nei confronti della Turchia per destabilizzarla, anche se le autorità cercano di depistare le responsabilità” spiega a ilsussidiario.net il generale Carlo Jean. “Nessuno è in grado di avvalorare quanto detto dagli investigatori e cioè che l’assalto a Smirne sia opera del Pkk. In realtà ci sono da temere le cellule jihadiste che provengono dal Caucaso, dalle regioni islamiche dell’ex Unione sovietica e anche dalla Cina”.



Da Smirne sono arrivate informazioni confuse, le autorità turche dirottano le responsabilità dell’attacco sul loro nemico storico, il Pkk. E’ così secondo lei?

Dalla Turchia arrivano sempre notizie confuse e tendenziose dopo ogni attentato. Volendo fare un po’ di speculazioni, questa serie di attacchi in Turchia fa pensare piuttosto alla minaccia dell’Isis verso la Turchia stessa.



Quale esattamente?

La rivista ufficiale del califfato, Dabiq, ha parlato di Roma come il luogo dove si svolgerà la battaglia finale tra le forze islamiche e il resto del mondo, intendendo però Costantinopoli, oggi Istanbul, da sempre considerata la “seconda Roma”. Il califfato, dopo l’ultima svolta di Erdogan che si è alleato con i russi, si è sentito tradito dal suo cambiamento di rotta e insisterà ancora nel tentativo di destabilizzare il Paese.

Non crede nelle responsabilità del Partito curdo?

Le autorità turche avevano dato la colpa ai curdi anche subito dopo la strage di capodanno. Poi hanno parlato di affiliati di Fethullah Gülen, leader del movimento Gülen e grande nemico di Erdogan, infine dopo il flop del primo arresto hanno dovuto ammettere si sia trattato dell’Isis, anche perché poi è venuta la dichiarazione dell’Isis stesso e di norma sono dichiarazioni che corrispondono alla verità.



Si parla di provenienza asiatica dell’attentatore, questo vuol dire che in alcune regioni dell’ex Unione Sovietica cresce la presenza dei jihadisti, così come in alcune province della Cina?

Non è una novità. Ci sono ben 7mila foreign fighters, un quarto del totale, che provengono dall’Asia centrale come l’Uzbekistan e dal Caucaso, in particolare dalla Cecenia, da cui sono giunti in massa.

E degli islamici che vivono nella regione cinese dello Xinjiang, una minoranza tra l’altro turcofona?

In questo caso stiamo parlando di una popolazione di pochi milioni di persone, ben poco in confronto alle popolazioni dei grandi paesi islamici come il Pakistan e le regioni caucasiche.

 

Questo però non significa che cellule jihadiste non stiano prendendo forma anche in Cina, è d’accordo?

Attentati ce ne sono già stati molti, anche se non vengono presi in considerazione dalla grande stampa. In Uzbekistan, in Kirghizistan, meno in Kazakistan e nel Turkmenistan.

 

Quanto può resistere uno stato come quello turco sottoposto ad attentati quasi quotidiani?

La vita politica continua tranquillamente, questi attentati hanno un valore mediatico e politico non un valore materiale concreto. Da quando è cominciata questa strategia del terrore in un anno sono morte 400 persone, un decimo di quelle che muoiono in incidenti stradali. In Europa c’è una notevole attenzione anche per la valenza mediatica e politica che hanno questi eventi, ma una azione terroristica non ha mai preso il controllo di uno stato, se escludiamo il caso dei Mau Mau nel Kenya. Lo stato turco si trova certamente spiazzato rispetto all’opinione pubblica, ma il terrorismo come dice la parola punta sul terrore che viene amplificato dai media.