In Catalogna si sceglie ufficialmente l’indipendenza, ma si aspetta il tempo per trattare con il governo della Spagna. Sembra la quadratura del cerchio, perché, anche se la politica è l’arte del possibile, c’è un limite a tutto, anche alla trasformazione geometrica. 

Tra Madrid, che manda 15mila uomini per impedire un referendum, anche se arbitrario, e Barcellona che dichiara la validità dei risultati dello stesso referendum, si è alzato ormai un muro che può portare a imprevedibili scenari, anche drammatici. Ma alla fine, vincerà solo il più forte. E con tutta probabilità sarà Madrid a fare risultato, con la possibilità però che la storia si arricchisca di una pagina triste e amara, che difficilmente sarà dimenticata.



Carles Puigdemont, il presidente della Generalitat catalana, ha ritardato di un’ora il suo intervento. C’erano dissidi all’interno della maggioranza indipendentista del Parlamento catalano; c’erano le preoccupazioni per le minacce madrilene, la cui portavoce è la vicepresidente Soraya Sáenz de Santamaría, che sembra la portavoce con un tono post-franchista di “ordine e legge”; ma c’erano anche le preoccupazioni di una grande economia come quella catalana messa in crisi dalla fuga di industrie e banche, il nodo economico che era il punto cardine della forza della Catalogna e che aveva caratterizzato anche la sua vocazione indipendentista per quasi più di un secolo.



Puigdemont ha dato la sensazione, anche con passaggi drammatici, come il “non dimenticheremo mai quel primo ottobre” e con l’accusa alle brutalità dello Stato, di scegliere una ritirata dignitosa, sostenendo che il popolo vuole l’indipendenza, “la merita” per come è andato a votare. Ma ha dato anche l’impressione che la trattativa è indispensabile per evitare scontri sanguinosi e conseguenze più gravi. Ha rimandato “la palla” a Madrid: trattiamo e  discutiamo per una proposta condivisa.

Ma Puigdemont non può essere così ingenuo. Sa benissimo che Madrid, dopo l’intervento del “re incolore”, ma soprattutto dei suggeritori teutonici, “l’angelica” Merkel e il biscazziere Jean-Claude Juncker (che qualcuno si ostina a non considerare in questa partita cruciale, come se vivesse su un altro pianeta), vuole imporre la sua dottrina. 



In sostanza il democratico Mariano Rajoy ringrazia i suoi tutori del Nord, anche in materia istituzionale, risponde subito duramente al discorso fatto nel Parlamento catalano e promette di ripristinare la legalità. Non lo dice ma è chiaro a tutti quelli che vogliono vedere che la deflazione, cioè la crescita stentata o spesso la decrescita, quindi la dottrina dell’austerità, e dei conti in ordine, deve andare bene anche alla Catalogna, che pure dà il 20 per cento del Pil alla Spagna e quindi non si azzardi a pensare di uscire e a mettere in atto scelte economico-finanziarie alternative.

E’ vero che gli errori ci sono stati da entrambe le parti, ma è pure vero che qualcuno dovrà prima o poi prendere atto che una Spagna con questa ferita nel suo corpo, che difficilmente verrà rimarginata, e un’Europa così sbilenca e frammentata non possono reggere a lungo. E se reggono, lo devono fare con la forza o con qualche forma di governo gerarchico che introduce una sorta di post-democrazia.

Dopo dieci anni di crisi economica mondiale, che il pensiero neoliberista trionfante dice che non ha provocato, ma che non è in grado di risolvere, era inevitabile che si assistesse a un terremoto sociale e istituzionale di cui è impossibile nascondere le conseguenze.

Quello che si spera è che il problema catalano si risolva senza scenari drammatici, perché sarebbe un dolore terribile per tutte le democrazie degli Stati europei. Nessuno poteva immaginare che oggi si riparlasse della tragica storia di Lluís Companys i Jover, politico e avvocato, leader della Esquerra Repubblicana de Catalunya, presidente della Generalitat dal 1934. In esilio dopo la sconfitta della Repubblica spagnola, fu preso dalla Gestapo nazista e consegnato al dittatore Francisco Franco, che, secondo suo costume, lo fece fucilare.

Nel dramma catalano di questi giorni, anche questo ricordo è tornato in mente a molti. Rajoy e la sua vice Santamaría vinceranno sicuramente e forse è un bene per tutti che la Catalogna non esca dalla Spagna. Ma bisognerebbe fare attenzione a non muoversi come elefanti in un negozio di maioliche e a non lasciare ferite tragiche nella storia dei popoli. C’è chi ha il difetto di non dimenticare. Mai. C’è chi ha il difetto di non smarrire la memoria come spesso capita in Italia, per decreto degli storici e di alcuni statisti.