Ecco come si fanno le guerre nel terzo millennio, almeno in Medio Oriente. L’Arabia Saudita fornisce di armi i gruppi fondamentalisti ribelli siriani e favorisce la nascita dell’Isis, aiutandoli a conquistare Raqqa. Poi, una volta che l’Isis è sconfitto e Raqqa liberata, si offrono di ricostruirla. Doppio vantaggio economico. Come spiega Fausto Biloslavo a ilsussidiario.net, il dopo Isis è uno scenario incandescente con interessi di parte di troppe nazioni per non diventare presto una nuova guerra. Forze irachene e sunnite hanno già cominciato ad attaccare i curdi del nord dell’Iraq, in un territorio dove sono presenti ancora 1200 soldati italiani che per anni hanno addestrato i curdi peshmerga”. E poi c’è anche il fronte dello Yemen dove, aggiunge Biloslavo, “la guerra tra Arabia Saudita e Iran è già in atto”.
I curdi che hanno liberato Raqqa hanno dichiarato che Damasco si può dimenticare della città, che resterà in mano loro, mentre i sauditi si sono detti pronti a ricostruirla. Che cosa sta succedendo?
Bisogna sempre distinguere tra curdi del nordest della Siria e curdi del nord dell’Iraq, tra i quali non scorre per nulla buon sangue. I primi non hanno mai chiesto l’indipendenza ma un’autonomia totale che si sono già conquistati con le armi sconfiggendo l’Isis. C’è un accordo non scritto per cui le forze curde ossatura delle forze democratiche siriane che hanno liberato Raqqa con l’aiuto americano, e le forze di Damasco appoggiate dai russi che hanno sconfitto l’Isis nel sud della Siria non si devono combattere.
E’ un accordo che regge?
Più o meno: incidenti e scontri si sono sempre verificati, anche perché le due forze sono vicinissime tra loro, un centinaio di chilometri. Ma in questo momento nessuna delle due parti ha interesse a un’escalation e l’accordo regge. Dove invece l’escalation sta prendendo aspetti pericolosi è nel nord dell’Iraq.
In seguito al referendum curdo per l’indipendenza?
Quel referendum ha provocato una pericolosa spinta in avanti da parte dei curdi, anche se l’indipendenza non è stata proclamata. Per questo iracheni e milizie sciite hanno cacciato i curdi da Kirkuk, una città sempre contesa e importante per i pozzi petroliferi.
In che senso rischio di escalation, diceva?
Kirkuk è stata presa quasi senza colpo ferire, ma adesso i curdi stanno attaccando, hanno distrutto un carro armato in mano alle milizie sciite. Tutto questo non è un buon segnale per il futuro. Non dimentichiamo che i curdi negli ultimi due, tre anni sono stati addestrati da forze europee, soprattutto italiani, che in quella zona sono ancora 1200, 500 dei quali in difesa della diga di Mosul che negli ultimi giorni è passata completamente alle milizie sciite. La situazione è molto delicata.
Intanto i sauditi fanno capolino a Raqqa dicendosi pronti a ricostruirla. Che disegno c’è dietro a questa presenza? Significa che l’alleanza americana-saudita è sempre più stretta?
Sicuramente, anche perché la prossima guerra sarà tra sciiti e sunniti, tra iraniani e sauditi. Mentre in Iraq i sauditi hanno dovuto mollare, in Siria non vogliono mollare neanche un centimetro. Hanno sostenuto e fornito di armi i ribelli islamisti e lo stesso Isis. Adesso che Raqqa è rasa al suolo vogliono ricostruirla.
Cosa che a Damasco non farebbe molto piacere, è così?
Assolutamente no, anche perché il regime di Assad vede i sauditi con il fumo negli occhi per il loro sostegno ai ribelli. Vedremo presto nuovi problemi in un’ottica di scontro più o meno aperto tra sciiti e sunniti.
E poi c’è lo Yemen. Che importanza ha questo altro fronte?
E’ un fronte più che minaccioso, la guerra più dimenticata del pianeta ma anche la più pericolosa. Qui si gioca apertamente il conflitto tra Arabia e Iran.
E qui recentemente sono intervenuti gli americani bombardando.
In realtà gli americani hanno bombardato a lungo lo Yemen anche in passato, perché è il paese dove è nata al Qaeda e dove c’era la loro presenza. Adesso pare ci sia una forte realtà dell’Isis.
(Paolo Vites)