Il Consiglio europeo che si è svolto a Bruxelles negli scorsi giorni sarà storicamente ricordato per due questioni fondamentali. La prima è quella del rifiuto della cuspide sia politica, sia tecnocratica del potere eurocratico di intervenire in alcun modo nella crisi catalana. Si tratta di una decisione per taluni versi scontata, ma per altri sconcertante. La Costituzione spagnola configura la Spagna come nazione formata da nazionalità diverse, secolarmente consegnate alla storia dalle loro radici non transeunte o derivate dalla meccanica dei partiti politici, come invece accade pensosamente, per esempio, in Italia. Il fatto che non si sia tentato di convocare un incontro ad alto livello tra catalani e castigliani, non tanto per cercare una mediazione, impossibile, ma per disperdere le tensioni, implica il fatto che il potere eurocratico sottolinea gravemente l’accumularsi del disagio e della disgregazione sociale, che in questi anni è stata messa in atto in tutta Europa, non solo per la crisi economica, ma per la paralisi continua che le politiche di austerità e di lenta distruzione del principio della rappresentanza popolare hanno provocato in questi anni.
Sia a Bruxelles, sia a Strasburgo non si ode più nulla e si pensa che si possa continuare a governare l’Europa senza mai posare l’orecchio a terra così da sentire ciò che si muove lontano e nel profondo. La prova di ciò che dico è nel fatto indiscutibile che in Europa si fatica sempre di più a formare dei governi. Gli olandesi ne sono senza da mesi, in Germania si annuncia che forse per le feste natalizie avremo il governo della nuova grande coalizione, in Francia Macron, che è stato eletto in una nazione che ha fatto registrare 24 milioni di astenuti contro 22 milioni di votanti, ha perso la maggioranza in Senato perché non gli è riuscito di amalgamare quei transfughi dai repubblicani e dai socialisti che invece alla Camera sostengono il suo governo. In Spagna poi tutto precipita. I re non riescono a essere re e il discorso del Re che abbiamo visto e udito da un famoso re inglese balbettante, in un film famoso, è un simbolo della maestà regia che fa sfigurare un ragazzotto con la barba, come il suo primo ministro, e tutti e due sembrano usciti dalle comiche di Ridolini. E anche lì, in una delle terre più belle e più ricche della storia del mondo, il governo una maggioranza non ce l’ha.
Di questo in Europa non si parla, e invece si pensa a svillaneggiare la povera Theresa May e si continua a non capire la tragedia della Brexit, per l’Europa naturalmente, e non per il glorioso Regno Unito. Quello che è interessante sottolineare è che in questo sfacelo i seguaci dell’austerity e dell’ordoliberalismus guadagnano terreno. I poveri governi portoghese e greco, che pur si battono come leoni, da soli non possono bastare. In compenso, invece, Martin Weber, leader del Pppe e della Cdu tedesca ha osannato il ritorno di Silvio Berlusconi alle riunioni del benevolente Ppe europeo a matrice tedesca e sul Giornale di Berlusconi ha cantato le lodi di un leader che si sta scoprendo sempre più europeo, sic!, ossia più ordoliberista che mai. Del resto il Ppe europeo è in grande spolvero e lo stesso Weber ha brindato alla vittoria di un giovanotto prodigio austriaco, anche lui popolare, che si appresta a governare con la destra xenofoba e razzista.
Il populismo getta la maschera e si rivela per quello che è: il ritorno della destra storica sull’onda gigantesca delle migrazioni in atto. Di questo, forse, c’è un certo tipo di consapevolezza nell’oligarchia europea. Mi spiego: Tusk esalta il risultato raggiunto in commissione libertà civili dell’Ue che straccia il trattato di Dublino e auspica l’applicazione delle quote di accoglienza dei migranti in tutte le nazioni europee. L’Italia ha vinto una battaglia. È indubitabile. Si odono grida di osanna verso il buon Minniti. Anche Juncker festeggia e disvela l’altra questione, ossia la trasformazione dell’eurocrazia in eurocrazia neocoloniale e neoimperialista in Africa.
Parliamoci chiaro, “aiutarli a casa loro” per impedire che emigrino non ha nessun senso. Tutti gli studi seri dimostrano che emigrano soprattutto i popoli che escono da una situazione di pura sopravvivenza e se migliorano proprio allora si scatenano le grandi ondate migratorie. Quindi aiutarli a casa loro da parte dei tedeschi, e, come vedremo, dei bravissimi olandesi, che sono espertissimi in queste pratiche, altro non vorrà dire che affiancarsi al colonialismo francese, l’unico che da un paio di secoli è presente in Africa con grande dispiegamento di forze.
Ne vedremo delle belle e interessanti. Chissà se i francesi rinunceranno al franco africano che imposero durante il trattato di Bretton Woods del 1945 e che da allora non hanno mai abbandonato e che unifica monetariamente una quindicina di “nazioni” africane. I tedeschi “aiuteranno” con l’euro o risfodereranno il marco? E gli olandesi? E gli spagnoli apriranno ancora il fronte Polisario per impedire gli sbarchi a Ceuta? E i cinesi, che diranno di questi nuovi protagonisti? Romano Prodi non li aveva avvisati dell’arrivo di questi scomodi intrusi, e la vicenda dei lavori italiani alla diga di Mosul doveva essere un’eccezione.
Naturalmente Juncker, tra un bicchiere e l’altro, queste cose non le dice a Tusk, che del resto non le capirebbe.