In carica dal 2012 (e in precedenza anche dal 2006 al 2007), il premier giapponese Shinzo Abe ha vinto trionfalmente anche le nuove elezioni. Una riconferma che da una parte, come osserva Francesco Sisci in questa intervista, mostra come le forze di opposizione non siano riuscite a proporre un’alternativa credibile, dall’altra come la sua politica estera “forte” e determinata nei confronti dei nemici di sempre, Cina e Corea del Nord, trovi sostegno nel suo popolo. La grande sfida, già promessa da Abe, riguarda infatti l’abolizione dell’articolo 9 della Costituzione, quello che dalla fine della seconda guerra mondiale impone di avere un esercito di sola difesa che non possa mai essere impegnato fuori dei confini neanche con paesi alleati. In un momento storico in cui Kim Jong-un manda i missili a sorvolare il Giappone, il paese del Sol Levante non vuole più stare a guardare.
Francesco Sisci, come commenta la riconferma di Abe?
Il Giappone si trova in un grande momento di incertezza. Economicamente il debito interno eccessivo insieme al surplus commerciale creano una situazione fragile che potrebbe essere messa in crisi da ogni forte cambiamento internazionale che per esempio porti una stretta sugli export nipponici. Contemporaneamente il quadro internazionale è effettivamente cambiato. Il Giappone ha smesso di essere la superpotenza asiatica in Asia, come è stato per un secolo, prima per forza propria, poi dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale come una specie di proconsole americano. La Cina è diventata la protagonista dell’area, eppure non ha proposto un modello nuovo, ma solo di fatto riproposto un sistema di neovassallaggio imperiale, come esisteva prima dell’arrivo delle potenze occidentali in Asia, prima del 1860 circa.
Il fattore Corea del Nord quanto conta nella vittoria di Abe?
Il Giappone naturalmente non vuole tornare a fare il vassallo della Cina, piuttosto vuole tornare ad essere il proconsole americano. Quindi in mancanza di alternative nuove, e grandi forze propulsive interne originali, Abe è la continuità che rassicura. in più la minaccia della Nord Corea ha raccolto quasi tutti intorno ad Abe, che già da tempo ha sottolineato la minaccia di Pyongyang, trascurata, se non incoraggiata (secondo alcuni) da Pechino.
La sua vittoria è frutto della fiducia dei giapponesi nei suoi confronti o demerito dell’opposizione che si è presentata frammentata?
L’uno e l’altro. L’opposizione non ha presentato un’alternativa credibile alle politiche interne e internazionali di Abe. Lui ha avuto il merito, per il pubblico, di avere prima suonato l’allarme per una politica “maschia” verso la Cina, che non si piegasse ai suoi desideri.
L’affluenza risulta però molto bassa, ha votato il 54% degli elettori: che cosa significa questo astensionismo?
In questo caso significa che chi non è andato a votare comunque sosteneva implicitamente Abe, o non gli si è opposto. Cioè Abe è senza alternative in Giappone.
Abe aveva già annunciato di voler rivedere la costituzione pacifista modificando l’articolo 9, cioè la rinuncia alla guerra, per via della situazione sempre più difficile nell’area. Lo farà secondo lei? Come cambierà la politica giapponese con Cina, Nord Corea, Stati Uniti?
Credo di sì, credo che Abe cambierà la costituzione. C’è in realtà in Giappone una doppia preoccupazione in tema di sicurezza. Quella immediata della Nord Corea che tra retorica bellicosa e missili fa tremare borsa e commerci di Tokyo, e quella a medio e lungo termine, il primato della Cina nella regione. In questo ci sono anche forze revansciste giapponesi che giocano nel torbido, e magari sognano anche una nuova proiezione militare e politica nella regione, ma ci sono anche questioni vere.
Ad esempio?
Il fatto che la Cina ha pretese sul Mar Cinese meridionale da dove passa il 50% delle importazioni alimentari ed energetiche del Giappone, preoccupa Tokyo. Cioè anche se la Cina dice di non avere ambizioni di espansioni territoriali, già le sue attuali richieste, di unificazione con Taiwan e nel Mar Cinese meridionale, strozzerebbero il Giappone. Il paese poi ha vecchi timori di essere isolato, visto anche che è fatto di isole, e di rimanere schiacciato da un abbraccio eventuale fra Cina e Usa, come auspicavano alcuni cinesi e alcuni americani qualche anno fa. Un tale abbraccio sarebbe la fine del Giappone. Contro questo Abe si oppone con tutte le sue forze. Lo fa anche tessendo una nuova alleanza regionale. Il Giappone ha accordi sempre più stretti di collaborazione militare e di informazioni con Vietnam e India, oltre che con gli Usa.
Che ne sarà della cosiddetta Abenomics, una politica spinta di Quantitative easing? Tutti mettono in dubbio che abbia realmente funzionato…
L’economia giapponese è drogata, e i consumi interni non hanno sostituito le esportazioni, né nuove imprese private hanno rimpiazzato i mega conglomerati statali. Ciò detto oltre l’80% del debito pubblico giapponese è venduto a giapponesi stessi, e il Giappone inefficiente all’interno è efficientissimo con l’estero, visto il suo grande surplus commerciale. Quindi la nuova politica internazionale oggi garantisce la continuità economica interna. Del resto in un quadro economico internazionale incerto, la coda dell’Abenomics oggi è una sicurezza.
Abe farà una politica del riarmo? O meglio: gli servirebbe una politica economica del riarmo per aiutare l’economia?
Certo, in questa situazione una politica di riarmo, la colonna portante delle dottrine di stimolo dello sviluppo grazie a spesa pubblica non produttiva, è una mano santa, specie se giustificata da preoccupazioni internazionali comprensibili. Ciò naturalmente spingerà anche aumenti di spese militari di altri paesi della regione, e magari anche aiuterà l’export militare americano. Nei prossimi giorni il segretario di stato americano Tillerson andrà in India promettendo una grande alleanza militare, sostenuta da vendita di armi Usa a New Delhi. Tutto spinge verso un aumento della tensione nella regione.