Il dolore di tutta la gente di Catalogna, l’ebbrezza pericolosa di molti indipendentisti, la rabbia montante della Spagna intera; sono le tante facce di una vicenda storico-politica e culturale su cui pesano come macigni non tanto le tragedie del passato quanto l’involuzione dei movimenti autonomisti degli ultimi vent’anni. 

Nel 1923, in Spagna, dopo un colpo di stato, Miguel Primo de Rivera impose una dittatura con l’appoggio del Re Alfonso VIII. La Catalunya fu privata dei suoi diritti e delle sue libertà, alcune delle sue istituzioni vennero sospese. Così, la Mancomunitat (Associazione di province della Catalogna), antenata dell’attuale Generalitat (Governo della Catalogna), fu costretta a mettersi da parte. Il governo obbligò ad una sottomissione totale i catalani. Fu vietato parlare pubblicamente il catalano.

Nel 1928, in vista dell’Esposizione Universale di Barcellona nel 1929, il dittatore decise di fare a pezzi le quattro colonne del Montjuic, che rappresentavano le quattro bande della bandiera catalana. La dittatura terminò nel 1930, con la rinuncia di Primo de Rivera, e la Catalogna passo attraverso il calvario della guerra civile e il lungo dominio franchista, riuscendo a ritrovare con la nuova pagina di storia della Spagna democratica un ruolo di gigante economico e culturale con sempre più autonomia per la regione. 

Tra i protagonisti di questa stagione certo la classe dirigente di Convergència i Unió, il partito che ha riunito in una federazione liberali e democristiani catalani. Ma proprio la rottura di questa alleanza sotto la leadership di Artur Mas ha spinto Convergència sulla strada dell’indipendenza tout court allontanando, con gli autonomisti cristiano-democratici, molti degli stessi catalani dai principi indipendentisti, basti pensare alla nascita di Ciudadanos, la formazione politica che ha abbandonato il Parlament per non votare la rottura con Madrid. 

E Convergenza è rimasta con gli estremisti di sinistra, per i quali la Repubblica è prima di tutto un modo per tornare ai miti della guerra civile. Ma il catalanismo non significa necessariamente la conseguenza indipendentista. Di fatto, il catalanismo è una corrente di pensiero politico e culturale che nacque nel XIX secolo e che desiderava la promozione di tutte le specificità della Catalogna, come lingua, cultura e diritti. Benché questa tendenza possa portare qualcuno ad una forma di nazionalismo, non nacque inizialmente per reclamare una Catalogna indipendente ma la identità della Catalogna.

Per esempio, si può dire sicuramente che il grande Antoni Gaudí sia stato un catalanista, per l’amore che provava per la sua terra e la sua disponibilità a dimostrarlo, ma non è mai stato indipendentista.

Un amore per la Catalogna che Gaudí ha trasmesso attraverso la sua arte, ma che non necessariamente dev’essere visto come una posizione politica, ma meglio come il desiderio di reclamare la propria identità catalana molto spesso trascurata a quell’epoca. La più importante opera del maestro catalano, la Sagrada Familia, con le sue forme che stupiscono i visitatori, si distingue dalle altre anche perché paradigma dei suoi ideali. “All’interno dell’inusuale chiostro, Gaudí lasciò costruito un portale dedicato alla Madonna del Rosario: e lì, alla destra di Maria, tutta ricoperta di rose, appare una piccola immagine di un uomo moderno. L’imponenza e la bellezza di Maria e dei santi del Rosario, Santa Caterina da Siena e san Domenico, attraggono lo sguardo del pellegrino che visita la chiesa espiatoria di Barcellona, ma quel piccolo uomo è lì, inginocchiato, con lo sguardo fisso alla Madonna e con la mano sinistra allungata verso il basso. Sotto di lui un essere deforme, un rettile antropomorfo, gli offre una bomba Orsini, la bomba sferica tipica degli attentati anarchici. Rappresenta Santiago Salvador, un anarchico che deve la sua notorietà all’essere stato nel 1893 l’artefice della strage al Teatro Liceu con 22 morti e 33 feriti” (Chiara Curti nel Catalogo Mostra sulla Sagrada presso il Parlamento Europeo).

È la tentazione di voler cambiare la società usando la violenza. La violenza dell’ideologia che stravolge il senso della realtà perché vuole ingabbiarla nei propri schemi. E porta gli indipendentisti a confondere l’identità della nazione catalana con il progetto di uno stato che affossi l’unità della Spagna, esponga il popolo alla divisione ed alla crisi, perda di vista il destino dei propri giovani.

Il dramma di questi giorni ci rende coscienti del fatto che la nostra libertà decide. Di fronte a tutte le tentazioni c’è una possibilità più umana, che ci salva dalla violenza dell’ideologia e ci restituisce l’esperienza di una unità più profonda. Questa possibilità va colta attraverso il dialogo, che deve continuare incessante anche oggi che tutto sembra demandato all’ineluttabilità delle procedure. Deve rendersi disponibile al dialogo Madrid, che non può limitare il proprio essere governo alla difesa della Costituzione. Deve riprendere il dialogo Barcellona, ridando voce ai tanti che non si sentono rappresentati dalla Generalitat. E deve proporsi per il dialogo l’Unione Europea ed i suoi leader, che troppo frettolosamente hanno liquidato il problema come spagnolo facendo finta di non capire quanto rischia il progetto politico che chiamiamo Europa in questa circostanza. 

Abbracciamo con forza e passione la fatica che condiziona oggi i nostri amici spagnoli e tra questi, quegli spagnoli così speciali che sono i catalani. Che sentano, per davvero, che non sono soli.