Riconoscere gli errori commessi da entrambe le parti, concessione di maggiore autonomia alla Catalogna e intervento di un soggetto terzo per mediare tra Madrid e Barcellona. Secondo Annalisa Ciampi, docente di diritto internazionale e relatrice speciale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, è questa la strada per ricomporre la frattura determinata dal voto di domenica in Catalogna. “Una consultazione informale priva di qualunque crisma di legalità” — spiega Ciampi — che non giustifica la grave violazione dei diritti umani fondamentali commessa dal governo Rajoy. Una crisi che potrebbe essere solo all’inizio: “se l’indipendenza si realizza nei fatti, allora l’effettività può prendere il sopravvento sulla legalità”. 



Dopo le urne, Rajoy ha parlato di “sceneggiata” e di “mobilitazione illegale”. Insomma per Madrid il referendum resta illegittimo.

Perché allora tanta forza (anche fisica) per impedirne lo svolgimento? E’ un punto di equilibrio difficile quello di un governo centrale che ha il potere — e il dovere — di assicurare il rispetto della legalità costituzionale. Poiché la Corte costituzionale spagnola ne ha a più riprese sancito la contrarietà a Costituzione, bene ha fatto il governo di Rajoy a dichiarare e ribadirne l’illegittimità. 



Quindi?

Quello che si è svolto domenica allora non è il referendum per l’indipendenza catalana ma una consultazione informale priva di qualunque crisma di legalità. Ma anche Madrid ha fatto gravi errori.

Cercare di impedirla?

Sì. Impedirla a tutti i costi, ivi compreso il costo della violazione dei diritti umani fondamentali, è una violazione del diritto internazionale e dello steso diritto nazionale spagnolo, ben più grave di quella che si mirava ad impedire, e dunque non ha senso.      

L’ordine è stato mantenuto anche con la brutalità. Si parla di 844 feriti. Come giudica questo fatto? 



Quando la gente scende in strada per manifestare e protestare, lo Stato non ha solo l’obbligo, negativo, di non impedire le manifestazioni di protesta pacifica, ma anche quello di assicurane lo svolgimento, di “proteggerle”, per così dire. Ma anche qui si tratta di un equilibrio non facile.

Come e dove va trovato?

Lo standard internazionale è chiaro: l’uso della forza nei confronti di persone che esercitano il diritto di assemblea pacifica è in linea generale vietato. E’ consentito solo come extrema ratio, in conformità ai principi di necessità e proporzionalità. Non sono principi scientifici, il cui rispetto può essere misurato attraverso un mero calcolo matematico. E’ chiaro però che i dati finora emersi — oltre 10mila le forze spiegate, più di 800 feriti e proiettili di gomma e manganelli quali “armi” impiegate — sono il segno che il governo centrale questi principi li ha violati.  

Naturalmente ha vinto il Sì: al voto hanno partecipato 2,2 milioni di elettori sui 5,3 chiamati alle urne. Il No ha ottenuto il 7,8 per cento. Vale il diritto di autodeterminazione dei popoli? 

Il diritto internazionale di per sé non tutela le pretese indipendentiste della Catalogna. Come noto, ed è stato spesso ribadito in questi giorni, il diritto all’autodeterminazione non si applica alle minoranze: piuttosto il diritto internazionale sancisce e protegge l’integrità territoriale degli Stati sovrani. La stessa Unione Europea, per espresso disposto del suo trattato istitutivo, è obbligata a rispettare “le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale”.

Intanto, Puigdemont ha annunciato la creazione di una commissione d’inchiesta sulle violenze di ieri contro la popolazione civile. 

Se davvero saranno confermate, le violazioni manifeste dei diritti umani fondamentali di espressione, di associazione e di assemblea pacifica rendono la posizione del governo di Madrid non solo contraria ai propri obblighi internazionali (oltre che di diritto costituzionale interno) ma anche — e proprio per questo — debole dinanzi alla comunità internazionale.

La Ue, che fino al voto si è guardata dal dire alcunché, nella mattinata di ieri ha detto che la Catalogna è una “questione interna alla Spagna”.

In linea di principio sì. La forma dello Stato — federale, regionale o basata su forme più o meno ampie di autonomie — è questione che appartiene al così detto “dominio riservato” di ciascuno Stato sovrano, ivi compresi gli Stati membri dell’Ue. Ma le violazioni dei diritti umani fondamentali non lo sono. L’Ue “si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’eguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti  umani”. E’ il Trattato Ue che lo dice. L’Unione Europea per prima, dunque, non potrà più limitarsi ad “osservare” lo sviluppo di una crisi che aveva tutti gli estremi di una disputa costituzionale interna, ma dovrà a sua volta pesare le esigenze di salvaguardia della sovranità degli Stati membri con quelle di rispetto dei diritti umani che pure fanno parte del diritto dell’Unione.  

Puigdemont ha chiesto la “mediazione internazionale”. Che cosa può significare e quali passi prevederebbe?

La mediazione è un mezzo di risoluzione diplomatica delle controversie, che prevede l’intervento di un soggetto terzo rispetto ai contendenti. La legalità costituzionale è stata spezzata e un dialogo sul piano puramente interno mi sembra difficile. L’intervento di un soggetto internazionale — uno Stato o gruppo di Stati o un’organizzazione internazionale — potrebbe certamente essere utile. L’Unione Europea avrebbe tutte le carte in regola, se non addirittura il dovere, di farlo, ma certo ci vuole coraggio… L’Unione Europea ha paura, credo che abbia paura di fallire nella mediazione ma anche di creare un precedente che possa essere seguito da altri: altre minoranze ma anche altri Stati alle prese con analoghi problemi.    

Una formale dichiarazione di indipendenza da parte di Barcellona che cosa implicherebbe e cosa comporterebbe?

Ripeto, dal punto di vista costituzionale interno sarebbe contraria a Costituzione e dunque nulla. Ma se l’indipendenza si realizza nei fatti, allora l’effettività può prendere il sopravvento sulla legalità. Questo dipende non solo dalla forza di resistenza di Madrid ma anche dalle reazione della società internazionale, a partire dagli Stati europei. Se un certo numero di Stati e/o le stesse istituzioni europee dovessero cominciare a trattare la Catalogna come un autonomo soggetto internazionale indipendente dalla Spagna, questo significherebbe che la secessione è realmente avvenuta e il diritto non può che prenderne atto.

E’ possibile una ricomposizione della frattura secondo lei? sulla base di quali presupposti?

Un esito possibile — impensabile fino a qualche giorno fa — è che la secessione si realizzi davvero. Per scongiurarlo non c’è altro che il dialogo, un assetto costituzionale che garantisca alla Catalogna forme di autonomie ancora maggiori di quelle già esistenti e il riconoscimento degli errori commessi da entrambe le parti.

(Federico Ferraù)