Venerdì lo stato islamico ha lanciato un’improvvisa offensiva sviluppata su più direttive nei pressi di al-Sukhnah lungo l’autostrada M5 che porta a Deir Ez Zor. L’attacco ha inoltre colpito la città di al-Qaryatayn (a sud-ovest di Palmyra) e la zona dell’aeroporto T3. Le incursioni — ieri ancora in corso — stanno mettendo in seria difficoltà l’esercito siriano. E’ da segnalare che contemporaneamente agli attacchi del califfato, le Syrian Democratic Force (le forze curde guidate dagli Usa) hanno attraversato senza ostacolo il territorio occupato dall’Isis e sono avanzate per circa 100 chilometri nella zona petrolifera di Jufrah (ad est dell’Eufrate), mettendo così arbitrariamente sotto il proprio controllo circa il 40 per cento delle risorse petrolifere del paese.
Questo evento evidenzia due cose: la prima è che l’esercito siriano ha sottovalutato l’Isis; la seconda è che sembra che le milizie dell’Isis tolte dalle aree occupate dai curdi vengano mandate immediatamente ad attaccare i governativi. Non può essere casuale che ciò che vediamo oggi in realtà è tre anni che si è ripetuto sistematicamente.
Questo è più o meno quello che nei giorni scorsi il ministero della Difesa russo ha evidenziato. Cioè che le forze Sdf si muovono liberamente nelle aree detenute dall’Isis; che gli attacchi dello stato islamico arrivano attraverso le aree occupate dall’Sdf; e che i servizi segreti Usa dirigono gli assalti dei terroristi. Come prova di queste collusioni, Mosca ha mostrato riprese aeree in cui sono chiaramente visibili i veicoli blindati delle forze speciali degli Stati Uniti che stazionano sicuri nelle aree occupate dai terroristi.
Questo orientamento può far rimanere perplessi ma in realtà è plausibile: la maggior parte dei militanti dell’Isis nella provincia di Deir Ez Zor provengono dalle tribù siriane locali, e soprattutto dalle tribù Swayr che costituiscono circa il 20 per cento dell’Isis. Per avere libero accesso senza combattere nelle aeree detenute dal califfato nella regione di Deir Ez Zor e concentrare lo sforzo contro le forze siriane, gli Usa hanno fatto accordi con i leader di questi clan: è questo che ha permesso alle forze curde Sdf di avanzare nel territorio dell’Isis senza combattere.
E’ infatti documentato che l’inviato speciale degli Stati Uniti, Brett McGurk, ha effettuato incontri con i capi tribali — che hanno giurato fedeltà ad Isis — per corromperli ed accordarsi a collaborare. In cambio, ha promesso sostegno e un ruolo di rilievo nelle zone liberate dalle forze filo-americane.
Questa ultima offerta spesso significa per la manovalanza dell’Isis il passaggio diretto sotto la bandiera dell’Sdf e “stellette” agli sceicchi. Il quotidiano al Watan riferisce che 500 militanti dello stato islamico si sono uniti alle forze Sdf nella città di Shaddadi, nel sud della provincia di Hasaka.
Gli accordi con le tribù e l’utilizzo dei membri dell’Isis sono stati fatti per realizzare tre obiettivi: 1) consentire il passaggio indenne nei territori detenuti dall’Isis; 2) utilizzare direttamente le forze dell’Isis (alias tribù locali) contro le forze russo-siriane; 3) favorire l’acquisizione delle zone petrolifere ad est dell’Eufrate.
Un primo esito di queste intese è la creazione per mano americana del Consiglio militare della regione di Deir Ez Zor che ha essenzialmente il compito di contrapporsi al governo siriano come “amministrazione alternativa” nei territori sottratti al governo centrale. A capo di questo organismo è stato eletto Ahmed Abu Khawla, un ex ribelle “moderato” colpevole di massacri e saccheggi ai danni dei civili e che, secondo una fonte, è transitato per un periodo nelle fila dell’Isis. A condividere la dirigenza di Khawla c’è anche tale Talal Silo, un altro ex-Free Syrian Army (Fsa), ora comandante affiliato alle forze curde Sdf. Entrambi questi personaggi messi al vertice dell’organismo hanno in comune una viscerale ostilità verso il governo siriano.
La repulsione per Assad e per gli alleati russi è condivisa anche dal redivivo al-Baghdadi che in un messaggio audio ha rimproverato gli Stati Uniti “di non riuscire a far fronte al crescente potere della Russia, che già da diversi anni ha il pieno controllo del regime siriano ed è stato in grado di cambiare completamente il corso degli eventi a loro favore in occasione della conferenza di Astana”.
Visto quando è già successo nella guerra irachena, questa commistione tra jihadisti e forze Usa non costituisce una novità. Anche in quell’occasione, le forze di occupazione statunitensi non si fecero scrupolo di collaborare con tribù locali legate ad al Qaeda tramite un accordo denominato “Anbar Awaking”: sono evidenti le analogie con quando sta accadendo nella Siria orientale. E’ chiaro che la permanenza di forze Usa e soprattutto il sostegno alla nascita di uno stato curdo nel nord della Siria è da inserire come una variante all’interno del vecchio progetto di sottrazione di sovranità e di destabilizzazione permanente della Siria. Nel contesto della guerra in corso però è evidente la pretestuosità e l’uso strumentale di questo popolo che rischia di trovarsi di nuovo con il cerino in mano. Infatti non sfugge che favorevoli all’indipendenza dei curdi siriani sono soprattutto Usa e Israele, i due paesi che più di tutti hanno fatto per sovvertire il paese.
E’ opportuno inoltre segnalare che sia in Iraq che in Siria i curdi stanno andando oltre il giusto tentativo di autonomia e tutela. In particolare l’arcivescovo siro-cattolico Jacques Behnan Hindo ha denunciato più volte che le milizie curde, per facilitare l’autonomia, stanno mettendo in atto soprusi e prepotenze verso le popolazioni autoctone per costringerle all’allontanamento o alla assimilazione (vedi qui e qui la testimonianza di mons Hindo).
In questo senso è indicativo che nel referendum consultivo svoltosi il 25 settembre nel Kurdistan iracheno, il governo presieduto da Massoud Barzani abbia incluso anche località “curdizzate” con la pulizia etnica.
I curdi siriani (ai quali ha promesso il proprio appoggio anche l’Arabia Saudita ed Israele) sembrano sostituire le forze “proxy” del Free Syrian Army per continuare l’opera già intrapresa. E incuranti degli esiti, gli Stati Uniti — oltre alla corruzione in atto delle tribù locali — hanno promesso già 500 milioni di dollari di armi alle Unità Popolari di Protezione Popolare curde (Ypg). Per che cosa, ora che la guerra sembrava finire, è facile da immaginare.