BARCELLONA — Gli avvenimenti delle ultime ore mostrano che da parte catalana si cerca uno sbocco dignitoso, ma pare che Madrid voglia vincere per goleada. Di fatto, non solo il governo centrale non ammette mediazioni (è di ieri l’offerta della Svizzera, neutrale per tradizione), ma nemmeno un dialogo. Non è ancora la psicosi, ma intanto le banche e altre grosse imprese hanno deciso di trasferirsi fuori dalla Catalogna, per sicurezza; qualcuna anche a Madrid (Gas Natural). Si direbbe che Madrid voglia provocare Barcellona a un passo falso, come sarebbe la proclamazione unilaterale dell’indipendenza, che sarebbe irreversibile. E che non voglia nemmeno lasciare una via d’uscita.



In Spagna in questi giorni si assiste ad una corsa alla disinformazione degli uni e degli altri; si fa fatica a capire cosa succede realmente, tutto viene strumentalizzato, minimizzato o esaltato secondo l’interesse di parte. Evidentemente la polizia ha abusato della forza l’1 ottobre: aveva diritto di intervenire, ma in modo proporzionale. D’altra parte quanto si è verificato non è nemmeno accaduto in misura da farne una tragedia greca; soprattutto si sta strumentalizzando. 



Come sempre, la prima vittima di tutti i conflitti è la verità. La disinformazione dei mezzi spagnoli su quanto succede raggiunge la faziosità (come la tv di Catalogna: ma qui almeno possiamo vedere tutto, là ascoltano solo una voce): hanno praticamente censurato le immagini, per cui hanno protestato anche i giornalisti della tv di Madrid. 

Rajoy ha detto che non si poteva prevedere cosa sarebbe successo; viene da chiedersi in che paese vive. Se voleva proibire dappertutto il referendum, non bastavano 10mila uomini. Ha fatto le cose a metà, e anche male. Si vede che ha finito per credere alle bugie dei suoi stessi telegiornali, che hanno sempre propagandato che qui gli indipendentisti sono solo quattro esaltati manipolati da un potere perverso. Invece sono due milioni: non sono la maggioranza, ma sono molti. E oggi sicuramente sono di più di sabato scorso.



Senza la mediazione, o per lo meno il dialogo, resta solo la repressione. Il portavoce del Partito popolare al Parlamento ha denunciato lo sciopero del 3 ottobre in Catalogna come “nazista”. Qui certo si è usato il potere perché l’adesione fosse di massa, ma usare queste parole è improprio: in questo modo si sveglia la bestia del nazionalismo spagnolo, che il Pp ha sempre usato. Ma anche qui in Catalogna si usa il potere per un progetto politico, si fanno pressioni indebite su chi non è indipendentista, si manipola l’informazione, si usa la piazza. 

Ho già spiegato che il referendum convocato non rispettava lo stesso Statuto della Catalogna e si è pure ignorato il regolamento del Parlamento, dove gli indipendentisti avevano la maggioranza dei seggi, ma non quella dei voti (volevano elezioni plebiscitarie, che però con il 48 per cento dei voti hanno perso). Fa paura pensare cosa faranno quando avranno tutto il potere, se mai accadrà. Sono alleati a estremisti antisistema (la Cup, Candidatura di unità popolare). Sono due intransigenze che si scontrano, e chi ne ha fatto le spese è stato il catalanismo moderato di Unió.

Il problema si complica con le gravi tensioni per le ingiustizie sociali, che hanno dato vita ai vari gruppi antisistema e populisti, come Podemos, Cup, eccetera; esattamente come accade nel resto dell’Europa. Qualcuno sostiene che alla Cup non interessi l’indipendenza, ma solo scardinare il sistema; l’indipendenza è solo un pretesto. Ma il Pp, installato nel suo centralismo e a protezione degli interessi del grande capitale, è stato capace unicamente di rispondere ai moti di piazza facendo leggi chiaramente repressive per proibire le manifestazioni: con il risultato che adesso anche criticare la polizia è un delitto. 

E adesso? Pare che ora i politici stiano cercando la Chiesa per una mediazione; ma non sarà facile, i protagonisti al potere sono prigionieri delle loro stesse falsità. 

Il messaggio del re è apparso totalmente allineato al discorso del governo, senza nemmeno dispiacersi per gli abusi della polizia, dirigendosi solo a tranquillizzare i catalani fedeli senza nemmeno menzionare gli altri. Così facendo qui ha perso molta credibilità. D’altronde i separatisti avevano già preso posizione, decidendo direttamente per la “repubblica” nella domanda del referendum (ma non volevano che la gente votasse?). Cosa si aspettavano? Ci sarebbe voluto un monarca molto generoso, dalle ampie vedute, capace di intendere sentimenti e pensieri di tutti i suoi sudditi. Viene il sospetto che il messaggio fosse essenzialmente rivolto alle forze armate, che secondo la Costituzione spagnola hanno il diritto, e anche il dovere, di garantire l’unità della Spagna (è una concessione fatta ai militari nel 1978). Al limite, anche la posizione attendista e ultimamente morbida di Rajoy, molto criticato dai falchi, potrebbe essere funzionale a preparare gli animi per un intervento militare. Che sarebbe un disastro con la d maiuscola.

Qualcosa di buono in tutto questo? Molti cristiani stanno cercando di ricucire un dialogo, comunque difficile, tentando di riaffermare una unità sempre possibile, che parta dal riconoscimento di chi non la pensa come me. Quanto sta accadendo è una grande occasione per verificare dov’è il fondamento della nostra speranza, che non può essere un progetto politico, ideologico o sociale. Sarebbe opportuno smettere di confondere l’unità della Chiesa con l’unità della Spagna, soprattutto come la intendono alcuni: Madrid e province. I nazionalismi, spagnolo o catalano, sono miti che pretendono di essere la risposta al cuore dell’uomo: ma si basano sulla menzogna, sulla paura dell’altro e non mantengono mai le promesse.

Il modello centralista spagnolo o si imporrà con la forza, o è finito. Ci sono diritti della Catalogna che l’attuale Costituzione non riconosce, perché nel 1978 ha voluto trattare tutte le comunità in modo uniforme (il famoso “cafè para todos“), quando non lo sono. E comunque ci sono molte più cose che uniscono Spagna e Catalogna di quelle che ci separano. Pero pare che ci sia più gente che lavora per separare, per imporre, per vincere. Per dialogare davvero, gli attuali responsabili politici dovrebbero tirarsi da parte: improbabile.