In arrivo la riforma tanto attesa e invocata, soprattutto dall’Italia, del Trattato di Dublino. Il Parlamento europeo con larga maggioranza (329 sì) ha già approvato il superamento del criterio del primo Paese di ingresso, quello che ci penalizzava in modo pesantissimo: “Siamo davanti a un momento decisivo per riscrivere regole che erano state fatte nel 2003, quando la situazione dei migranti non era minimamente paragonabile a quella di oggi” ha detto a ilsussidiario.net Mario Mauro, senatore di FI. “E’ ancora molto quello che si dovrà discutere, specialmente la qualifica di status di rifugiato che chiede asilo. In questo senso si dovrà decidere se chi lo fa per motivi economici ne ha diritto, il che significherebbe centinaia di migliaia di persone che in Italia ne fanno richiesta senza motivo”.

Senatore, come mai si arriva alla riforma del Trattato di Dublino solo adesso?

Se facciamo riferimento al fenomeno migratorio in sé, e più in generale al fenomeno dei richiedenti asilo, è chiaro che il Trattato di Dublino fotografa un tempo e una situazione che non corrispondono più alla realtà. Quel regolamento, voluto dall’Unione europea più altri paesi, ha recepito i principi della comunità internazionale in tema di protezione dei profughi che fuggono da guerre o situazioni di precarietà. Il problema è che la situazione è completamente mutata rispetto al 2003. Allora si trattava di fenomeni pur rilevanti ma che riguardavano alcune migliaia di persone, l’esodo attuale ne coinvolge milioni.

In particolare il Trattato ancorava tutto al principio per cui si debba fare richiesta nel Paese di primo approdo. Questo ha messo l’Italia e altre poche nazioni in condizioni disastrose.  

Certamente, ma ci sono altre due questioni ancora aperte e scottanti. La prima è la contraddizione insita nel fatto che in questi 70 anni l’Unione è stata capace di sciogliere il nodo dei confini al proprio interno con la libera circolazione delle persone, ma ha lasciato all’arbitrio nazionale la competenza di quei paesi che si trovano ai confini esterni dell’Unione stessa, come lo è l’Italia. Con questo meccanismo i paesi su cui si riversano i richiedenti asilo vengono inchiodati a responsabilità troppo gravose per loro.

La seconda questione?

Alla luce della nuova impostazione, dovrà essere ulteriormente precisato lo status di migrante economico: quello status è meritevole o no di richiesta di protezione? Se si conferma ciò che è oggi, cioè che essere migrante economico non dà adito alla richiesta di asilo, questo imporrà agli stati membri dei doveri precisi verso coloro che arrivano facendo richiesta di asilo non avendone diritto, come accade in Italia.

Cioè? A oggi su 28 stati membri dell’Unione sono sei quelli che si sono fatti carico dell’80 per cento dei richiedenti asilo.

Il Parlamento ha già votato che non vale più il principio di primo approdo, ma un sistema automatico di distribuzione dei richiedenti. Se un paese non lo rispetta, sono previste sanzioni. Mi aspetto una discussione animata: se alcuni paesi porranno il veto su questo, si potrà porre il veto su altre forme di solidarietà economica che da tempo vengono concesse, ad esempio nei confronti delle nazioni dell’Europa dell’est.

Non teme nuove spaccature all’interno di una Unione già molto divisa?

Dipenderà dall’abilità dei negoziatori. Il regolamento è stato approvato con 329 sì, una maggioranza schiacciante, che significa che hanno votato a favore anche deputati dei paesi dell’est.

Che ruolo avrà l’Italia in questo dibattito? Chi condurrà realmente le danze?

Diciamo intanto che questo passaggio parlamentare è un successo per l’Italia intera, perché è stato riconosciuto un principio più volte invocato dal nostro paese. Mi si permetta di dire anche che è un successo di Forza Italia: Tajani ha fatto da garante affinché il provvedimento arrivasse a destinazione. Se il governo di centrosinistra vuol essere all’altezza di Forza Italia deve fare qualcosa di simile, spendendosi nel Consiglio europeo perché venga sancito lo stesso principio.

Passiamo alle Nazioni Unite che hanno attaccato l’Unione Europea e l’Italia per la violazione dei diritti umani in Libia. Come giudica questa iniziativa?

In parte riflette lo stato di impotenza e confusione che determina da tempo le Nazioni Unite. Se pensiamo che la stragrande maggioranza dei fondi della cooperazione internazionale fanno capo all’Ue, questa critica appare del tutto fuori luogo, ma nel caso specifico secondo me c’è qualcosa di più.

Cosa? 

Dietro certe strutture dell’Onu c’è una forma di ideologia che difende astrattamente il principio di migrazione. La violazione dei diritti umani in Libia si deve all’inconsistenza delle autorità libiche e alla presenza di organizzazioni terroristiche e criminali rispetto alle quali vanno prese iniziative di contrasto, dalle autorità libiche, dalla Ue e speriamo, finalmente, anche dall’Onu. Se guardiamo alle responsabilità di quanto sta accadendo, la prima istituzione che deve fare un serio esame di coscienza è proprio l’Onu.

(Paolo Vites)