“Con la fine della guerra fredda e il moltiplicarsi di paesi possessori di armi nucleari, la dottrina della deterrenza non regge più. Per questo papa Francesco ha voluto il vertice”. Monsignor Silvano Tomasi, membro del dicastero della Santa Sede Servizio per lo sviluppo umano integrale, spiega il significato della conferenza che si terrà in Vaticano il 10 e 11 novembre prossimo. E rivela: puntiamo ad un accordo universale.
Monsignor Tomasi, come siete arrivati a questo vertice?
Il nuovo dicastero, Servizio per lo sviluppo umano integrale, ha nel suo mandato la promozione della pace. Coerente con l’insegnamento pontificio da Pio XII ad oggi, l’uso dei mezzi di distruzione di massa, le armi atomiche in particolare, è ritenuto eticamente inaccettabile per le disastrose conseguenze umanitarie. Con la fine della guerra fredda e il moltiplicarsi di paesi possessori di armi nucleari, la dottrina della deterrenza non regge più. Nelle nuove circostanze anche il possesso di armi atomiche è divenuto inaccettabile.
Dunque la sicurezza da chi dipende?
La sicurezza, rispettosa della dignità umana, non dipende da qualche Stato con la bomba atomica, ma dal fatto che ogni Stato non l’abbia più. Per questo la Santa Sede ha ratificato il nuovo trattato delle Nazioni Unite votato da 122 Paesi lo scorso 7 luglio. La conferenza che si terrà in Vaticano il prossimo 10-11 novembre è il primo incontro globale dopo il nuovo trattato che mette al bando uso e possesso di armi nucleari.
Perché papa Francesco lo ha voluto proprio ora?
Nell’opinione pubblica, dopo la guerra fredda, si è anestetizzata la paura delle armi atomiche, che pure sono andate crescendo nonostante il Trattato di non-proliferazione. Papa Francesco ha voluto richiamare il prima possibile l’attenzione sulle conseguenze dell’uso di armi nucleari, sui rischi che comporta la loro esistenza, sugli enormi costi e investimenti di denaro pubblico necessario per sostenere e sviluppare invece le strutture socio-educative e sanitarie di cui abbisogna la popolazione.
Nel panel di ospiti spiccano due assenze: Cina e Giappone. Perché?
La Conferenza è aperta a tutti i Paesi.
Quale obiettivo perseguite?
C’è fiducia che il summit serva ad aprire la strada per un eventuale coinvolgimento anche dei Paesi possessori di armi atomiche in un negoziato che porti eventualmente ad un accordo universale, giuridicamente obbligatorio, verificabile e non discriminatorio per la rimozione di qualsiasi arma nucleare.
Tutti gli stati dicono di volere il dialogo. D’altra parte il direttore della sala stampa della Santa Sede, Greg Burke, ha detto che il Vaticano non intende mediare tra Usa e Nord Corea. Ma allora che cosa vuole fare?
Abbiamo avuto ampia evidenza che la via del conflitto ha portato frutti molto amari con milioni di morti, di feriti, di rifugiati, di distruzione del creato. La via del dialogo implica un metodo diverso per le relazioni internazionali basato sulla giustizia, la solidarietà, la fiducia reciproca. Potrebbe sembrare un idealismo naïf, ma in realtà è la strada maestra per costruire un futuro di speranza e di pace. La Santa Sede non si è tirata indietro a mediare quando richiesta e le circostanze erano opportune. Penso che potrà avvenire ancora in futuro.
A fine novembre papa Francesco andrà in Myanmar e Bangladesh. Quali sono le sfide e le aspettative di questo viaggio?
Papa Francesco risponde alle urgenze che incontra nelle sue visite pastorali con la semplicità e profondità del Vangelo. Povertà, rifugiati, relazioni umane distorte, da una parte, e antiche culture e potenti economie dall’altra segnano le masse umane dell’Asia e sono sicuro che la presenza e il messaggio del Papa sarà per loro una nuova speranza.
(Federico Ferraù)