Nessun futuro per una coalizione “Giamaica”. Christian Lindner (Fdp) ha detto no a un governo di coalizione Cdu, Liberali e Verdi e Angela Merkel ha dovuto prendere atto che i margini di trattativa sono esauriti. Ma era stato lo stesso Lindner in ottobre a dire alla Faz che il maggiore ostacolo stava nella definizione della linea politica sui temi europei. “Il tema di fondo è la fine dell’era Merkel — spiega Vladimiro Giacché, economista ed esperto del mondo tedesco —. Oggi (ieri, ndr) lo Handelsblatt ha pubblicato un editoriale del suo direttore in cui si dice che siamo di fronte alla peggiore sconfitta della Merkel. E’ vero”.
Questo fallimento era nelle cose?
Angela Merkel ha perso nettamente le elezioni del 24 settembre. Non ne è uscita peggio dell’Spd solo perché la formazione guidata da Schulz è ai suoi minimi dal 1949, ma la Cdu in termini percentuali ha perso più voti. Una candidatura, quella della Merkel, tutt’altro che scontata visti i problemi di popolarità della cancelliera, ma abilmente costruita facendone la figura in grado di raccogliere il testimone di Obama dopo l’avvento di Trump. Ora anche questo gioco mostra la corda.
Sappiamo che la Merkel incontra un limite di popolarità molto forte per la gestione non particolarmente accorta del tema dell’immigrazione.
C’è questo elemento, ma non è l’unico e forse nemmeno il più importante. Dopo il voto si riteneva che il problema nella futura coalizione sarebbero stati i Verdi. Non è andata così. I Verdi di oggi non sono quelli di ieri e sono perfettamente compatibili con l’indirizzo della Cdu. E’ invece in atto un riposizionamento di Fdp, che ha ottenuto un buon successo nelle urne (10,8 per cento, ndr) e sotto la guida di Lindner cerca di ritagliarsi un ruolo politico maggiore, puntando a sottrarre voti all’AfD e in parte anche alla Cdu.
Le cito una dichiarazione di Lindner rilasciata alla Faz nell’ottobre scorso. “La nostra preoccupazione comune è la responsabilità individuale dei membri dell’unione monetaria. Vogliamo rafforzare il principio della responsabilità, applicare le regole di Maastricht e tornare ai principi dell’economia di mercato per quanto riguarda il finanziamento degli stati”. Che cosa vuol dire?
Vuol dire stop al Quantitative easing, vuol dire no ad ogni forma di condivisione del debito pubblico, vuol dire che nemmeno ci sarà il terzo pilastro dell’unione bancaria, lo Schema unico di garanzia dei depositi. Detto da Lindner, vuol dire basta alla politica della Merkel perché la strada è un’altra.
A che cosa stiamo assistendo?
Gramsci diceva che “il demagogo è la prima vittima della sua demagogia”. Il populismo che la Cdu ha colpevolmente alimentato in questi anni, continuando a sostenere che l’Europa era un peso di cui si sobbarcavano l’onere i contribuenti tedeschi, pagando per le “cicale” del sud Europa, si è ritorto contro chi lo ha alimentato.
Lei accusa Angela Merkel di raccogliere i frutti più coerenti della sua politica. Ma perché?
Perché invece di aggredire i problemi dell’unione monetaria ha preferito non dire che l’assetto europeo attuale favorisce proprio la Germania — la Germania delle grandi imprese e delle grandi banche, la Germania di politiche mercantiliste aggressive, basate sulla deflazione salariale — e alimentare l’idea che la causa dei problemi fossero gli altri.
E poi?
E così l’elettorato, all’interno del quale la povertà cresce in parallelo al crescere dell’avanzo commerciale tedesco, ha sfiduciato entrambi, Merkel e Schulz. Ora la Merkel non può lamentarsi se AfD ha il 12 per cento e se il partito fautore del mercantilismo più aggressivo, la Fdp, non solo è rientrato al Bundestag con largo margine, ma vuole contare di più e le dice di no.
Due scenari. Nel primo si torna al voto. In questo caso la Merkel potrebbe perfino rimetterci la leadership, senza contare l’incognita del responso elettorale. Nel secondo la cancelliera convince l’Spd a sedersi al tavolo delle trattative.
Difficile fare previsioni. In teoria sarebbe facile, visto che l’Spd ha detto di preferire il ritorno alle urne piuttosto che fare una grande coalizione. In realtà l’Spd è un partito che ama stare al governo e l’ipotesi potrebbe allettare molti dentro il partito.
Sarebbe possibile un patto Cdu-Spd-Verdi?
Dal punto vista programmatico assolutamente sì, sono tutti partiti perfettamente compatibili. Ma è anche ipotizzabile che la Spd decida di fare un gioco un po’ più scaltro di quello fatto negli ultimi anni, chiamandosi fuori per logorare la Merkel e sperando che le prossime elezioni regalino ai socialisti qualche voto in più. Come forse è possibile.
Nondimeno, lei dice, l’esito elettorale potrebbe restituire un quadro non molto differente da quello di settembre.
Infatti le prospettive non sarebbero così chiare. Non vedrei cosa potrebbe fare la Spd se non di nuovo un governo di coalizione. Anni fa un giornalista del FT, assistendo a un dibattito elettorale tra Cdu e Spd, osservò con una certa meraviglia che entrambi i contendenti condividevano politiche dell’offerta e apparivano ben lontani da un orizzonte keynesiano. Da allora non è cambiato granché.
Allarghiamo la prospettiva. Che lezione si può trarre a livello continentale da quanto sta accadendo in Germania?
Un primo rilievo riguarda i signori che in Italia hanno pensato di imitare la legge elettorale tedesca. Non esistono leggi elettorali buone per tutte le stagioni, né modelli perfetti da esportare. Forse il sistema migliore è quello proporzionale, che consente di dare al voto di ogni cittadino lo stesso peso. Proprio il modello che abbiamo abbandonato.
E il secondo rilievo?
L’instabilità tedesca si iscrive in un tema più generale che è il manifestarsi in Europa di forze centrifughe molto forti, a tutti i livelli. Il risultato dell’FPÖ (Partito della libertà austriaco) e la vittoria di un ÖVP (Partito popolare austriaco) molto spostato a destra alle ultime elezioni in Austria è solo l’ultimo episodio di una serie.
Di che cosa si tratta secondo lei?
Di un disagio che serpeggia in tutte le società europee. La gente non è felice di come vive e di come il proprio paese è costretto a convivere con gli altri paesi nell’attuale contesto istituzionale europeo.
Ognuno in Europa fa i propri calcoli, in Italia invece l’Unione Europea è un credo politico incontestabile. Vede sviluppi in altre direzioni o siamo destinati a impoverirci?
Abbiamo appena perso l’Ema in un sorteggio. E’ uno smacco politico gravissimo. Innanzitutto dovremmo chiederci perché noi, paese con il terzo Pil europeo, abbiamo preso gli stessi punti di un paese come l’Olanda. La risposta può risiedere solo nella nostra debolezza politica. Che — possiamo ben dirlo in un momento in cui il Paese egemone forse è costretto a tornare a votare per la seconda volta in pochi mesi — non ha nulla a che fare con la nostra presunta instabilità politica, e molto, invece, con la nostra subalternità politica nel consesso europeo. Dovremmo tutelare in modo ben diverso i nostri interessi. E cominciare a chiederci se l’evidente disfunzionalità delle regole europee sia frutto del caso o no, e se comunque non si debba preferire all’ideologia europeista uno sguardo un po’ più sobrio e disincantato su questa Unione Europea dalle regole così asimmetriche e caratterizzata da processi di decisione così poco democratici e trasparenti.
(Federico Ferraù)