Mai come in queste ultime settimane il presidente francese Emmanuel Macron è stato così attivo nei teatri del Golfo. Prima sorrisi e pacche sulle spalle a vari esponenti di spicco degli Emirati Arabi Uniti durante l’inaugurazione Museo Louvre di Abu Dhabi — con buona pace di Leonardo da Vinci che vedrà il suo “Ritratto di Dama” sbarcare nel deserto; poi una stretta di mano al principe ereditario Mohammed Bin Salman, durante una visita lampo a Riad per tentare di sbrogliare la complessa questione del dimissionario ex primo ministro libanese Hariri. 



L’inquilino dell’Eliseo, insomma, sembra avere tutta l’intenzione di piazzare la bandierina francese su uno dei teatri al momento più caldi dell’area. Da un lato è evidente il desiderio del giovane presidente di accreditarsi come attore indispensabile nel palcoscenico internazionale e in particolare in quello nordafricano e mediorientale, da sempre croce e delizia della realpolitik francese da De Gaulle in poi. Dall’altro, molto più pragmaticamente, Macron, come peraltro i suoi predecessori, vuole difendere gli interessi economici della Francia. Interessi che hanno tre nomi ben precisi: armi, petrolio e una serie di rapporti economici e finanziari di tutto rispetto. 



Partiamo dal primo punto e, facendo un piccolo ma necessario passo indietro, allarghiamo lo sguardo al quadrante nordafricano, a iniziare dalla Libia. 

Nel gennaio del 1970 Parigi stipulò un contratto con il governo di Tripoli per la fornitura di un jet Mirage. Fu l’inizio di un proficuo rapporto che, tra alti e bassi, è andato avanti per molti anni. Arriviamo, così, al 2007 quando Gheddafi piantò, fra mille polemiche, la sua tenda berbera davanti all’Eliseo, firmando contratti per oltre 10 miliardi di dollari che avrebbero permesso alla Francia di vendergli un’intera flotta aerea da combattimento, confezionata dal colosso dell’aeronautica francese Dassault. 



Tali accordi, in realtà, non furono mai onorati dal leader libico, che preferì invece rispettare il Trattato di amicizia e cooperazione con l’Italia siglato con Berlusconi nel 2008, grazie al quale avrebbe intascato assegni annuali per 250 milioni di dollari da spendere in opere infrastrutturali, a tutto beneficio delle imprese italiane.  Sarà anche questo uno dei motivi dell’interventismo francese nel 2011 per defenestrare Gheddafi? D’altra parte Sarkozy le aveva provate tutte, coinvolgendo finanche gli Emirati, disposti ad addestrare piloti libici per gli aerei francesi Rafale e a cofinanziare l’operazione. 

E proprio gli Emirati sembrano oggi il nuovo partner prediletto dalla Francia di Macron. Parigi, infatti, ha impennato l’export di armi verso Adu Dhabi — secondo partner nel Golfo dopo i sauditi — arrivando addirittura a definire, in un recente discorso all’Onu, lo Stato del Golfo un partner “essenziale” nella lotta al terrorismo. Potere del business, verrebbe da dire. D’altra parte gli Emirati, come l’Arabia Saudita, sono anche indispensabili garanti per la vendita di armamenti francesi all’Egitto, a sua volta utile spalla per spedire “munizioni d’oltralpe” al generale della Cirenaica Khalifa Haftar. Gli esempi potrebbero continuare ma, dati alla mano, tutto può risultare più semplice: dall’ultimo rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), si evince come la Francia, in termini di esportazioni di armi, nel 2016, avrebbe raggiunto il 6 per cento della quota di mercato mondiale, ben poca cosa se pensiamo che gli Stati Uniti e la Federazione russa, insieme, raggiungono il 56 per cento della quota di mercato. Tuttavia l’impennata dell’export francese nell’ultimo anno la dice lunga sulle prospettive future.

E arriviamo così al secondo punto: il petrolio. Anche qui la Libia ci offre un esempio di certa utilità. Prima della caduta del rais la produzione di petrolio del Paese ammontava a quasi a un milione e 600mila barili al giorno, circa il 2 per cento della produzione mondiale. Di questi il 52 per cento era in mano a 35 aziende internazionali, capeggiate dall’italiana Eni, che nel 2010 aveva primeggiato, con i suoi 267mila barili al giorno, sulla tedesca Wintershall e sulla francese Total, ferme, rispettivamente, a 79mila e a 55mila barili al giorno. Non stupisce che Nicolas Sarkozy, dopo avere sostenuto strenuamente il Cnt (Consilio nazionale di transizione)  nella guerra di “liberazione” libica, non fece neppure in tempo a seppellire Gheddafi che si presentò a chiedere il conto, sotto l’occhio vigile dell’amministratore delegato del gruppo Total, Christophe de Margerie. Allora il quotidiano francese Libération parlò addirittura di un accordo siglato dal portavoce del Cnt, Mahmoud Shammam, pronto a concedere alla Francia il 35 per cento dei nuovi contratti petroliferi libici. Notizia poi smentita dalle parti, ma che per lo meno insinuò un dubbio.

E’ ancora il petrolio a spiegare l’attivismo francese ne Golfo. La Total ha siglato, qualche mese fa, un accordo con un consorzio, di cui è capofila Teheran, per lo sviluppo del mega-giacimento di gas South Pars. Nel consorzio la Total ha il 50,1 per cento delle azioni, la società cinese Cnpc il 30 per cento e l’iraniana Petropars il restante 19,9 per cento. Si tratta di un investimento di quasi 5 miliardi di dollari. In questo contesto l’acuirsi della crisi tra Teheran e Riad  rischia di mettere una pietra tombale su un affare di notevoli dimensioni e così Macron, con il tipico equilibrismo d’oltralpe, decide di incontrare direttamente il principe ereditario saudita — l'”enfant terrible” che rischia di mandare a monte l’affaire — forse per ricondurlo a più miti consigli ed evitare un’escalation con l’Iran e i suoi alleati. 

Ci sarebbero poi anche altri motivi di ordine finanziario, non certo meno importanti. Solo un esempio. La banca francese Crédit Agricole ha formalizzato il 13 settembre del 2017 la cessione di una parte della propria quota della banca saudita Banque Fransi, pari circa al 16 per cento, al magnate saudita Al Waleed bin Talal, per un controvalore di 1,54 miliardi di dollari. Il businessman, però, è stato oggetto delle recenti purghe del giovane principe per corruzione. Che i due abbiano parlato anche di questo?