Purtroppo con il passare delle ore pare affievolirsi la speranza di una soluzione positiva della sparizione del sottomarino argentino “ARA San Juan” avvenuta nel Golfo di San Jorge, al largo della costa patagonica, da giovedì scorso. I sette tentativi di chiamata avvenuti sabato nel corso della giornata non provengono dal mezzo ricercato, come confermato dal portavoce della Marina Enrique Balbi nella conferenza stampa di ieri. Dove si è pure smentito che il rumore individuato dai sonar di un aereo statunitense dedicato a questo tipo di ricerca provengano da un sottomarino. Inoltre, è stato reso pubblico che nell’ultima chiamata di mercoledì scorso l’equipaggio aveva comunicato un’avaria a bordo.



Nonostante le autorità nutrano ancora speranze di ritrovare il sottomarino e nelle ricerche siano ormai impegnate unità internazionali dotate di tecnologie di ultimissima generazione, ci sono diversi fatti che purtroppo non giocano a favore di una rapida soluzione del caso, come rivelano diverse fonti interpellate. In primo luogo bisogna considerare che l’ARA San Juan, nonostante sia stato costruito negli anni Ottanta, sebbene obsoleto per la sua funzione militare, operava – come d’altronde il resto dei 4 sottomarini che fanno parte della flotta argentina – in condizioni ottimali per il compito che doveva svolgere: ossia il pattugliamento del tratto di mare argentino per rilevare e segnalare la presenza di natanti stranieri impegnati nella pesca clandestina.



Il mezzo, che ha subìto due anni fa una revisione completa con la sostituzione integrale di molte parti, ivi incluse le migliaia di batterie per l’approvvigionamento di energia elettrica, dispone di sistemi di emergenza attualizzati che possono permettere la soluzione di gravi situazioni. Tra i quali segnalatori satellitari di posizione che possono essere attivati, mediante espulsione, anche dal fondo del mare, come bengala di segnalazione con messaggistica particolare sempre sparabili in immersione. Inoltre ci sono valvole pneumatiche che permettono di svuotare i serbatoi per un’emersione rapida, così come il cosiddetto “serbatoio di emergenza”, che, sempre in tempi rapidissimi, porterebbe il sottomarino in superficie.



Date le condizioni atmosferiche avverse, con venti che sebbene di intensità minore rispetto ai giorni scorsi provocano onde estremamente alte che ostacolerebbero la navigazione di uno scafo non concepito per quella di superficie, è sempre attuabile il raggiungimento di una quota periscopio, che rappresenta la sua normalità operativa e che, attraverso lo snorkel, oltre all’ossigeno, darebbe la possibilità di trasmissioni telefoniche e satellitari.

Viene da chiedersi come mai finora, scaduto il termine di 48 ore che per regolamento permette, in caso di difficoltà, la mancanza di comunicazioni, non sia stato azionato nessuno dei sistemi descritti. E qui le spiegazioni portano a due ipotesi: incendio o allagamento, le uniche in grado di inabilitare l’equipaggio a manovre di emergenza.

Le ultime dichiarazioni sia dall’Ammiragliato di Buenos Aires che dalla base di Mar del Plata alla quale il sottomarino appartiene mostrano ancora ottimismo, ma la sensazione generale è che si inizi a pensare, visto il trascorrere del tempo senza novità sostanziali, in altre purtroppo dolorose ipotesi, anche perché qualora il sottomarino fosse ancora immerso avrebbe solo 48 ore di ossigeno.

C’è da considerare un’altra ipotesi: le condizioni meteorologiche avverse con venti di 90 km/h e onde di 6 metri finora non consigliano una navigazione in superficie, visto che comporterebbe seri problemi. Ma nelle prossime 48 ore si avrà un netto miglioramento che permetterà al sottomarino di emergere, anche se, lo ripetiamo, risulta alquanto strana la totale mancanza di comunicazioni effettuate pure con mezzi di emergenza previsti.