“Quando è stato deposto il governo islamista dei Fratelli musulmani, tutti noi ci aspettavamo ci sarebbe stato un tributo di sangue molto alto da pagare” spiega a ilsussidiario.net il giornalista egiziano, corrispondente dall’Italia per Panorama, Sherif el Sebaie dopo la carneficina che ha provocato 235 morti in una moschea del Sinai. “Sapevamo” aggiunge “che con la fine del potere islamista sarebbe nata una miriade di gruppi estremisti che avrebbe combattuto ogni tentativo di laicità in Egitto”. Quello che preoccupa, dice ancora “è il salto di qualità che questi terroristi hanno compiuto attaccando una moschea, il cui significato è che i musulmani egiziani sono da considerare degli infedeli. E’ dunque una dichiarazione di guerra, non più solo al governo ma all’intero popolo egiziano”. 



Un attacco di questa portata contro una moschea è una novità, ci fa chiedere se siamo davanti a terroristi legati all’Isis o miliziani che combattono il governo del generale al Sisi. Qual è la sua opinione?

Tutta l’opposizione che c’è in Egitto è di stampo islamista, che sia riconducibile ai Fratelli musulmani o all’Isis o altre sigle mai sentite prima come spesso fanno queste persone. La realtà è che tutti cadono sotto l’ombrello dell’islamismo militante, lo jihadismo internazionale.



Non c’è stata ancora una rivendicazione, lei dunque non ha dubbi sulla matrice dell’attentato?

Questo attentato è sicuramente riconducibile all’ambiente radicale islamista, l’etichetta con cui si nascondono non fa differenza. La mia opinione personale è che queste organizzazioni sono tutte uguali, che siano Fratelli musulmani o Isis. I mezzi che usano d’altro canto sono gli stessi, la violenza armata, e l’obiettivo finale anche è lo stesso, il califfato islamico.

In precedenza però gli attentati si erano concentrati sulla comunità cristiana, considerata da espellere dall’Egitto, o le forze armate, ricordiamo i 55 poliziotti uccisi poco tempo fa. Come mai adesso una moschea?



E’ un salto di qualità preoccupante. E’ vero che in precedenza c’erano stati attacchi contro le forze di polizia e i cristiani, anche al Cairo, ma mai si era andati a colpire dei musulmani dentro a una moschea.

Come mai?

E’ questo il punto: l’Egitto non è come altri paesi arabi diviso tra sciiti e sunniti per cui si combatte una guerra interna al mondo musulmano, qui il 99 per cento della popolazione musulmana è sunnita. Il salto di qualità è che questi personaggi hanno deciso di colpire i musulmani egiziani perché considerati non veri musulmani, solo perché contrari al loro piano di dominio in nome della religione.

La moschea colpita è frequentata dalla tribù Sawarka, conosciuta per la sua collaborazione con l’esercito e le forze dell’ordine.

Questo è l’altro aspetto importante. Il Sinai è abitato da diverse tribù di beduini che hanno rapporti consistenti e positivi con il governo e che con la loro conoscenza del territorio hanno spesso indicato i rifugi e i depositi di armi dei terroristi. Questa strage è una sorta di punizione per il loro sostegno all’esercito, e un modo di dire che hanno tradito quello che gli islamisti ritengono il vero islam. Sono stati puniti partendo dal presupposto che sono degli infedeli, non degli autentici musulmani.

Questa situazione nel Sinai si trascina da molto tempo, secondo lei l’esercito ha difficoltà a risolverla?

Il governo è in grado di combatterli e sta avendo dei successi. Lo dimostra il fatto che gli attentati sono circoscritti al Sinai, non c’è una capacità operativa di portare attacchi fuori da lì, quantomeno succede in modo rarissimo. I terroristi sono assediati in quell’area e sono arrivati al punto di uccidere persone in una moschea, una cosa che dal punto di vista dell’opinione pubblica avrà effetto negativo su di loro. Il prossimo passo sarà dichiarare gli egiziani infedeli e in questo modo ufficializzeranno la loro inimicizia con l’intero popolo.

(Paolo Vites)