Una vera spy story, quella del caso Regeni, che nasconde verità scomode per molti paesi. Al centro del caso torna la figura della professoressa Maha Mahfouz Abdel Rahman, tutor di Giulio Regeni, che in passato, con il supporto dell’università di Cambridge, si era rifiutata di rispondere a qualunque domanda dei nostri magistrati. Adesso, grazie a una rogatoria internazionale, la docente, di origine egiziana e legata agli ambienti dei Fratelli musulmani, si dichiara disponibile a rispondere, ma cosa dirà rimane un’incognita. Secondo il generale Carlo Jean, intervistato da ilsussidiario.net, “ci troviamo davanti a due ipotesi. O la docente è davvero come si dice un’attivista del fronte di opposizione ad al Sisi, o è un agente che lavora per i servizi segreti americani o inglesi, da qui il muro opposto dalle istituzioni universitarie ai nostri magistrati”. Cosa si otterrà da lei non si può sapere, quello che appare tristemente sempre più vero è che Giulio Regeni è stato una pedina in mano a poteri superiori che lui ignorava.



Generale, che ruolo pensa abbia avuto questa professoressa nel caso Regeni? Si sa adesso che aveva inviato in Egitto diversi studenti, non solo lui. 

Direi che è abbastanza improbabile che degli studenti siano stati strumentalizzati in maniera così palese. Se fosse così questi ragazzi dovevano essere ben superficiali a buttarsi in situazioni così pericolose.



Può succedere che un giovane di vent’anni si lasci appassionare da una sfida senza immaginare i rischi che si possano correre, non crede?

Un giovane di vent’anni, piuttosto, dovrebbe ben avere i piedi piantati per terra e capire a cosa va incontro. I casi, secondo il mio avviso, dietro a questa storia possono essere due.

Quali?

O quella professoressa era una attivista dell’opposizione ad al Sisi, oppure forniva informazioni a qualche altra potenza internazionale, ad esempio gli Stati Uniti, da sempre molto interessati a quel che succede in Egitto. Insomma, si muoveva per proprie convinzioni ideologiche o era sul libro paga per fornire informazioni alla Cia o anche ai servizi segreti inglesi.



Regeni doveva compiere degli studi sui movimenti sindacali legati agli ambulanti, chi e cosa rappresentano questi movimenti?

Gli ambulanti sono stati tra i grandi protagonisti della primavera egiziana e rappresentano tutt’oggi una forza di opposizione all’attuale governo non trascurabile. Per quanto riguarda Regeni, può essere che fosse entrato in qualche cellula delicata e quindi fatto fuori dagli uomini del governo perché considerato un nemico, o viceversa perché sospettato dagli ambulanti di aver estorto loro informazioni che pensavano volesse passare al governo.

Già nel 2016 i nostri magistrati avevano chiesto di interrogare la docente, ma Cambridge ha fatto muro e si sono rifiutati. Cosa c’è dietro a questo diniego a collaborare?

Se è davvero legata ai servizi segreti inglesi, è ovvio che questi mettano in atto ogni sbarramento per proteggere una loro agente.

In tutto questo quadro, quando l’Italia ha ritirato il nostro ambasciatore, la Francia non ha perso un secondo per fare affari miliardari vendendo armamenti all’Egitto. C’è una pista internazionale per farci fuori, visti gli ottimi rapporti economici che ci legano da sempre al Cairo?

Più che una pista, è normale che francesi e inglesi si siano prontamente infilati nel vuoto creato stupidamente dal ritiro del nostro ambasciatore con la conseguente crisi italo-egiziana.

In che senso? Dopotutto sono nostri alleati, non sembra un comportamento molto simpatico, il loro.

E’ normale, anche noi facciamo lo stesso, quando capitano situazioni dove si possano fare affari. Essere alleati non significa non essere competitori in campo economico. Ripeto, la colpa è nostra quando abbiamo così stupidamente deciso di ritirare il nostro ambasciatore.

Ci spieghi meglio.

L’Italia è da sempre interlocutore privilegiato dell’Egitto, non si rompono delle relazioni di questo tipo per accontentare qualche forza politica che alza la voce. Fortunatamente noi abbiamo in Egitto l’Eni che gode di assoluto rispetto. Basti pensare che dopo la Guerra dei sei giorni, nonostante l’esercito israeliano avesse occupato il Sinai, il governo egiziano continuò a pagare l’Eni per i diritti dei giacimenti petroliferi e di gas là situati. Guglielmo Moscato, presidente di Eni nella seconda metà degli anni 90, era soprannominato l’emiro, accolto in Egitto con onori di stato. Questo ci permette ancora di resistere agli assalti economici di paesi come la Francia.