Il caso della Corea del Nord, con i missili imperfetti ma pericolosi, è esemplare, si tratta di un bell’esercizio cognitivo per comprendere come funziona la politica internazionale e l’ordine, oppure il disordine, che può scaturirne in determinate condizioni. Il mondo sta uscendo da un disegno che David P. Calleo ha definito “folle”, ossia quello dell’unipolarismo dispiegato, ossia senza forti poteri di controbilanciamento e di contrasto come fu quello ipotizzato nella sostanza dagli Usa da dopo il crollo dell’Urss sino alla prima Amministrazione Obama. Seguivano, le tre famiglie che hanno messo a repentaglio la più grande potenza del mondo, la follia di pensare di poter dominare il mondo da sole sulla scia delle teorie del fantastico decano di Harvard, il prof Fukuyama, per il quale dopo la fine dell’impero del male la democrazia si sarebbe inverata subito e con essa il dominio incontrastato degli Usa.



Senonché, ahimè, questo disegno fu scalfito dai terribili attentati dell’11 settembre del 2001 e allora l’unipolarismo si trasformò in guerra dispiegata ai nemici della sicurezza e dei principi liberali e fu la guerra in Iraq e in Afghanistan, con tutti gli errori che ne seguirono. Solo l’ultimo Obama comprese che se voleva iniziare a disinnescare alcune mine che la guerra mesopotamica – iniziata con la rottura con i sauditi e con l’avvicinamento all’Iran – aveva innescato occorreva ripensare alla politica estera tutta intera e ne sortì, allora quell’intervista a The Atlantic che preconizzava una forma neo medioevale dell’ordine internazionale con il sole degli Usa che girava attorno al mondo circondato da una serie di mini-satelliti che ne imitavano il percorso come vassalli fedeli, che con il sole si spartivano il mondo vivendo della luce che su di loro si rispecchiava.



Sappiamo com’è finita. Da un lato la divisione tra Usa e Germania e Francia, e dall’altro l’emersione dell’Iran come mezzaluna tagliente che dall’Eufrate arriva al Mediterraneo e l’avanzata dei russi verso una nuova potenza euroasiatica dal Mediterraneo al Pacifico, confermando la loro potenza, in grado di dare una svolta definitiva alle guerre mesopotamiche in una forte alleanza con l’Iran e la Turchia, disgregando così il fronte sud della Nato. E nel mentre la potenza militare cinese avanza lenta e costante dai mari del sud della Cina a Gibuti al canale di Suez, raddoppiato su su sino a Trieste e agli stati ex comunisti dell’Europa per terminare con l’utopia anglo-britannica dell’anglosfera che ricrea un nuovo Commonwealth con un alleanza strategica appunto con la Cina.



Uno scenario dove dell’unipolarismo non c’è un bel nulla e gli Usa, mentre tentano di ripristinare il sistema di potere precedente ai disastri da quella linea politica folle provocati, sono continuamente messi alla prova e insidiati da ostacoli imprevisti, come il lanciatore nordcoreano di missili imperfetti ma paurosi.

Il disegno è quello della corrida, con le banderillas e i cavalli che ruotano attorno al toro sino a farlo impazzire e che Hemingway, nel 1925, ha magnificamente descritto in quel bellissimo romanzo che è Fiesta. dove alla corrida e al toro si dà tanta importanza mentre la dissennata ricchissima bellissima Brett Ashley si strugge d’amore e di delusione. Gli Usa sono oggi il toro che i cinesi feriscono, umiliano, punzecchiano grazie al loro informe e acciaccato matador che è la Corea del Nord. Informe e mostruoso, ma che tuttavia serve magnificamente allo scopo perché ogni giorno ricorda che non si può governare il mondo da soli anche se si è i più forti e che proprio perché si è i più forti si deve scegliere uno o più partner che, senza essere alleati, scambino una rivalità controllata con la comune ricerca di un terreno pacifico di crescita nella pace internazionale, ossia al riparo dalle guerre termonucleari.

È proprio questo, invece, che la Cina rende sempre più difficile in linea perfetta con gli esiti dell’ultimo congresso del Partito comunista cinese che ha posto il pensiero di Xi Jinping a fianco di quello di Mao e che di Mao ha rinverdito i metodi di controllo interno con l’assassinio programmato della burocrazia infedele e il dileggio della guerra termonucleare che non viene più temuta, ma che deve essere piuttosto usata come minaccia calcolata contro il nemico principale, ossia gli Usa.

Trump e il Pentagono, o meglio il pentagono e Trump a seguire, comprendono che superare i guai dell’unipolarismo è possibile solo con un’alleanza stabile con la Russia. Ma è proprio su questo punto che l’establishment nordamericano è diviso, come bene si vede seguendo che vicissitudini del Russiagate. La Corea del Nord fa infuriare il toro e Trump rischia di fare la fine di Brett Ashley.