TERZA GUERRA MONDIALE. Prima di partire per Pechino, Donald Trump è tornato a mettere in guardia la Corea del Nord in un discorso pronunciato dinanzi al Parlamento di Seul. “Il regime nordcoreano ha interpretato la passata moderazione americana come debolezza. Questa amministrazione è molto diversa da quelle precedenti”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, punzecchiando Barack Obama. Nella seconda tappa del tour in Asia, dove il programma missilistico e nucleare nordcoreano è al centro dei colloqui, Trump ha ricordato che la presenza militare statunitense è imponente: “Io voglio la pace attraverso la forza. L’America non cerca il conflitto né il confronto, ma non scapperemo davanti ad esso”. Dopo aver terminato gli avvertimenti, il leader della Casa Bianca si è rivolto direttamente a Kim Jong-un:  “Le armi che stai sviluppando non ti renderanno più sicuro, stanno mettendo il tuo regime in grande pericolo. La Corea del Nord non è il paradiso che tuo nonno aveva immaginato, è un inferno che nessuno merita”. Quindi, Trump ha esortato di nuovo Russia e Cina a tagliare i legami con Pyongyang, compresi quelli diplomatici. “Il peso di questa crisi è sulla coscienza di quelle nazioni che scelgono di ignorare la minaccia”, ha concluso Trump. (agg. di Silvana Palazzo)



TRUMP VENDE ARMI ALLA COREA DEL SUD

Doveva essere per molti il viaggio della speranza, quello di Donald Trump in Asia. Un viaggio per allontanare lo spettro di una Terza Guerra Mondiale, un viaggio per rinsaldare il fronte contro Kim Jong-un e convincerlo che mettersi contro gli Stati Uniti non è la mossa più saggia che il leader di Pyongyang possa fare. Ma è nei dettagli della visita a Seul che si cela l’impossibilità a trattare – nonostante gli inviti a tornare a sedersi al tavolo delle trattative – con il dittatore della Corea del Nord. Perché se Trump e l’omologo Moon Jae-in chiudono un accordo che prevede la vendita di armi per miliardi di dollari dagli Usa alla Corea del Sud, qualcosa non torna. L’inquilino della Casa Bianca si limita a spiegare che “per loro ha senso. Per noi questo significa posti di lavoro e ridurre il nostro deficit commerciale con la Corea del Sud”. Aggiunge poi che “non importa che siano aerei, che siano missili” (si parla in realtà di sistemi di sorveglianza e un sottomarino a propulsione nucleare): quel che conta è evidentemente il messaggio. Serve un deterrente difensivo: far capire a Kim Jong-un che non è l’unico che può premere il grilletto e seminare morte. Come dire che per sperare nella pace bisogna disporsi per la guerra.



SEUL DIVISA E BLINDATA

Nel frattempo la visita a Seul di Donald Trump continua senza particolari intoppo. L’accoglienza riservatagli da Moon Jae-in ha colpito il presidente americano, arrivato nella capitale tra le due ali di folla di un festoso corteo. Su Twitter, The Donald ha persino pubblicato il video del suo arrivo a Seul, quasi a voler dire agli americani che lo contestano che è questo il trattamento che merita. Chissà se è stato informato della presenza di 15000 agenti dispiegati per la città per garantire la sua sicurezza: perché in Corea del Sud non tutti sono filo-americani. Il potente alleato, lo scudo contro il Nord, rischia per molti di trasformarsi in un’arma a doppio taglio, specialmente con l’arrivo dell’amministrazione Trump. Il pericolo è sempre lo stesso: Kim può premere un pulsante e provocare milioni di morti in pochi minuti a Seul. Ecco perché – oltre ai sostenitori di Trump – a Seul sfilano anche i suoi contestatori, quelli che impugnano i cartelli “no war”. Capiremo oggi se Trump terrà conto anche delle loro paure, quando terrà un atteso discorso all’Assemblea nazionale coreana. Lo ascolterà anche Kim, che non gioca coi missili da 54 giorni: e l’idea che cerchi un pretesto per provocare Trump ora che li separano così pochi km non sembra poi così azzardata…

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