La Cina apre le porte a papa Francesco. Per la prima volta il Global Times, che dipende dal comitato centrale del partito comunista e dunque dal vertice del potere cinese, ha dedicato un articolo ad una visita papale, dando una valutazione apertamente positiva di ciò che il papa ha detto e ha fatto in Myanmar. Non solo. Durante la messa del papa — spiega Francesco Sisci, professore nell’Università Renmin della Cina a Pechino — si è assistito ad un fatto apparentemente irrilevante, ma che in realtà segna una svolta: “la Cina ha di fatto, sia pure in via ufficiosa, invitato papa Francesco. E la visita in Myanmar si può considerare la prova generale”. 



Perché proprio adesso?

Il rapporto della Cina con il Myanmar è privilegiato. Pechino è il primo partner commerciale di Naypyidaw, una delle minoranze etniche, gli Wa, è formata praticamente da cinesi; fin dagli anni Sessanta Pechino è l’interlocutore privilegiato nei conflitti tra le minoranze. La Cina sostiene da anni Aung San Suu Ki ed è impegnata nel cercare una soluzione di transizione che metta da parte i militari. L’attenzione quindi era massima.



Che cosa dice l’articolo che il Global Times ha dedicato alla visita?

La presenza cristiana in Myanmar è vista con grande interesse. Il giornale ha messo in rilievo il ruolo pacifico dei cattolici nella convivenza tra buddisti militanti e musulmani, fatta di scontri violenti e frequenti. Il papa, è stato notato, è riuscito a toccare i tasti giusti facendo contenti entrambi. Infine non deve sfuggire quanto accaduto alla messa di mercoledì nel Kyaikkasan Ground.

A che cosa si riferisce esattamente?

Ad un gruppo di cattolici per così dire in divisa, che portavano la bandiera della Cina. 



Cosa significa cattolici “in divisa”?

Un gruppo di persone vestite da preti.

E con la bandiera della Cina.

Sì. Conoscendo la Cina, è da ritenersi impossibile che a qualcuno passi per la mente di fare un bravata, recandosi sotto mentite spoglie, per di più con la bandiera cinese, a una visita del papa. 

Questo che cosa vuol dire?

E’ un segnale. Quei fedeli sono stati mandati da Pechino. Si è trattato di un invito ufficioso, il primo in assoluto, a papa Francesco a venire in Cina. Oggi possiamo dire che la prima visita di un papa in Cina è realmente più vicina.

Questa iniziativa ha a che fare con la mostra d’arte promossa dai Musei vaticani e dal Fondo per la cultura cinese rispettivamente a Pechino e a Roma nella primavera prossima?

Sì. E l’annuncio della mostra fatto a Roma dai cinesi pochi giorni prima del viaggio in Asia non è casuale, come non lo è il fatto che il Vaticano esporrà a Pechino nel marzo prossimo. In marzo si terrà una sessione plenaria del parlamento cinese, vuol dire che affluiranno a Pechino le 5mila persone più importanti della Cina, proprio mentre nel palazzo accanto si potrà vedere il tesoro dell’arte cinese conservata in Vaticano. Un chiaro messaggio, che sarà percepito come molto forte, di quanto la Santa Sede voglia bene alla Cina. 

Barbara Jatta, direttrice dei Musei vaticani, ha parlato di “diplomazia dell’arte”. L’apertura dunque c’è anche da parte cinese.

Sì, diversamente lo scambio non sarebbe stato possibile. E’ un interscambio culturale che ha il suo equivalente, anche per importanza, nella “ping pong diplomacy” degli anni Settanta tra Usa e Cina. Questo non secondo me, ma secondo la tv cinese che ha dedicato un programma a rendere pubblica la cosa. Si tratta dell’annuncio di una decisione politica presa. Mai, dalla rottura delle relazioni, i rapporti tra Cina e Santa Sede erano stati così vicini.

A chi tocca ora la prossima mossa e quale sarà?

Queste mosse finora sono state tutte concordate o sono venute per “armonia di intenti”. Quindi direi che ci sono più ragioni per sperare ma sapremo dei risultati solo dopo che saranno stati ottenuti.

(Federico Ferraù)

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