La notizia del minacciato suicidio a Kiev dell’ex presidente della Georgia Mikheil Saakashvili avrà portato molti lettori a chiedersi cosa ci facesse un ex presidente georgiano a Kiev. Dopo la cacciata del filorusso Viktor Yanukovich nel 2014, Saakashvili venne nominato governatore della regione di Odessa dal nuovo presidente ucraino Petro Poroshenko. Una delle ragioni della sua nomina fu che Saakashvili, diventato presidente della Georgia nel 2003 dopo la cosiddetta Rivoluzione delle Rose, si era distinto per la sua concreta lotta alla corruzione. Un’altra motivazione va ritrovata nella sua decisa inimicizia verso Putin e l’espansionismo russo, come dimostra la sua guerra nel 2008 contro la Russia per la questione dell’Ossezia del Sud, anche se finita con una grave sconfitta per la Georgia. Nel 2016 Saakashvili si è dimesso dalla carica di governatore in aperta polemica con Poroshenko, ritenuto troppo indeciso nella lotta contro la corruzione, anche nei circoli politici e imprenditoriali a lui collegati.  



Le sue dimissioni sono state da molti interpretate come una discesa diretta nell’agone politico ucraino, resa più semplice dall’aver perso la cittadinanza georgiana nel 2014, quando gli fu rapidamente attribuita quella ucraina necessaria per la nomina a governatore. A Saakashvili non viene attribuito un gran seguito, ma può appoggiarsi ed essere appoggiato dalle numerose forze di opposizione al blocco di governo di Poroshenko. Che ha reagito togliendogli, l’estate scorsa, la cittadinanza ucraina mentre lui era all’estero, riducendolo allo status di apolide e costringendolo a rientrare clandestinamente attraverso il confine polacco. Allora la polizia non intervenne, ma lo scorso 5 dicembre lo ha arrestato, dopo che si era rifugiato sul tetto della sua abitazione minacciando il suicidio. I suoi sostenitori lo hanno liberato a forza dalle mani della polizia, portandolo nella tendopoli di protesta allestita davanti al Parlamento ucraino, ma poi è stato riarrestato dalle forze di sicurezza ucraine. Le accuse di essere un agente dei russi e di mirare a un colpo di Stato sono state definite ridicole dai suoi avvocati, dato che contatti con oligarchi alleati di Yanukovich potrebbero essere rimproverati allo stesso Poroshenko, peraltro anch’egli un oligarca. Rimangono tuttavia inevase le domande sulle sue fonti di finanziamento.



Due giorni dopo il mancato arresto di Saakashvili, un altro fatto ha scosso l’opinione pubblica ucraina: il dimissionamento di Yegor Soboliev, presidente della commissione anticorruzione del Parlamento, troppo “attivo” nell’investigare anche ai piani alti del potere politico. Soboliev ha commentato così la sua destituzione: “Le corrotte élite precedenti e le attuali si sono colluse”. Il Kyiv Post, in un lungo e dettagliato articolo significativamente intitolato “La rappresaglia dell’Impero corrotto”, descrive le ripetute manovre della maggioranza parlamentare, di autorità governative e di parte della magistratura per impedire che avanzi la lotta alla corruzione. Anche il presidente Poroshenko non è immune da accuse, per esempio quella di continuare a ritardare la costituzione della Corte speciale per la lotta alla corruzione.



Questa situazione sta provocando reazioni negative molto nette da parte degli Stati Uniti e di vari paesi europei, con Ue e Fmi che stanno minacciando la sospensione dei loro finanziamenti, determinanti per la sopravvivenza finanziaria dello Stato. Esemplare un articolo di The Economist che parla di un’Ucraina in piena confusione e della necessità per l’Occidente di evitare un suo crollo, il che significherebbe partita vinta per Putin, con riflessi negativi fino al Mar Cinese del Sud. Sembrerebbe esagerato, ma la preoccupazione principale evidenziata nell’articolo è che l’Ucraina sarebbe l’ennesimo caso di fallimento delle operazioni di regime changing dell’Occidente e questa volta nel cuore dell’Europa. La colpa è addossata in particolare all’amministrazione Trump, che ha allentato la pressione sulle autorità ucraine, e in parte all’Ue, troppo timorosa di mettere in discussione gli accordi di associazione con Kiev. L’invito è a riprendere le pressioni in tutti i settori e in tutti i modi, ancora più pesantemente, per instaurare lo Stato di diritto in Ucraina, visto che gli ucraini sono, “ovviamente”, incapaci di farlo da soli.

Al di là di queste analisi, la situazione in Ucraina è molto grave e non dà segni sensibili di miglioramento: la situazione politica interna è caotica, la corruzione divampa come ai tempi di Yanukovich, l’economia rimane molto fragile, la Crimea è tornata a far parte della Russia e nell’Est la guerra continua a covare sotto le ceneri. A questo proposito, un rapporto dell’Onu dei giorni scorsi parla di 3,4 milioni di persone in urgente bisogno di aiuti umanitari e stima in 187 milioni di dollari le necessità per il prossimo anno. Sempre che gli scontri non riprendano violenti. Ma è tutta l’Ucraina che rischia una ripresa delle violenze, data la sempre più netta disillusione della popolazione verso gli esiti della “rivoluzione”. L’Associated Press riporta le dichiarazioni di uno dei manifestanti nella tendopoli di fronte al Parlamento, che ha partecipato a suo tempo agli eventi del Maidan e che ha combattuto contro i separatisti russofoni: “Allora avevamo solo pietre e bastoni. Ora molti di noi sono militari, siamo stati in guerra e non abbiamo niente da perdere”. Ma l’Ucraina ha tutto da perdere.