Nel quinto Summit tra i capi di Stato di Africa ed Europa che si svolto ad Abidjan, in Costa d’Avorio, il 29 e 30 novembre, si sarebbe dovuto discutere di “gioventù e sviluppo sostenibile”. Tuttavia, come era facile aspettarsi, tutti i capi di Stato presenti hanno capito che annunciare investimenti sui giovani africani mentre una parte di loro sta morendo nei lager libici sarebbe stato quantomeno anacronistico. E così il discorso si è spostato su temi più stringenti come quello di salvare vite umane. Detta in altre parole qualcuno deve aver capito che il problema dei migranti esiste oltre le coste libiche e trattenerli nel paese, fingendo che al di là del mare il problema sarebbe scomparso come per magia, non è la ricetta migliore per risolvere la spinosa questione. D’altra parte, si sa, nella politica come nella vita aggirare il problema è il modo migliore per non risolverlo mai.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. In questo momento ci sarebbero tra le 400mila e le 700mila persone intrappolate nei lager sparsi per la Libia. Nei 40 e più campi di detenzione “ufficiali”, secondo stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), sarebbero imprigionate circa 15mila persone. Delle altre, invece, si sa poco o nulla. La recente diffusione della video-inchiesta della Cnn, che denunciava le condizioni disperate in cui sono costretti a vivere i migranti, ha aperto uno squarcio nell’opinione pubblica internazionale che ha costretto i governi di molti paesi ad aprire il vaso di Pandora.
Nazioni Unite, Unione Africana e Unione Europea hanno così garantito la creazione di una joint task force, con base in Libia, per salvare le vite dei rifugiati lungo le rotte del Mediterraneo, favorendo i rimpatri volontari e garantendo assistenza a chi necessita di protezione internazionale. L’accordo prevede l’istituzione di un centro di “smistamento” sotto il controllo diretto dell’Unhcr, in funzione già dai primi mesi del 2018. Macron, ancor prima dell’incontro di Abidjan, in un’intervista a France 24 aveva anche paventato l’ipotesi di un’azione di polizia rafforzata per smantellare le reti dei trafficanti.
Davanti a uno scenario come quello appena delineato prendere atto del problema e iniziare a pensare a soluzioni concerete è certamente una buona cosa. Ma, a bene guardare, il piano proposto è una goccia nel mare che presenta non poche criticità e insidie. Vediamo perché.
Per favorire l'”evacuazione” dei rifugiati africani le autorità libiche hanno annunciato l’apertura di una “struttura di transito e partenza” a Tripoli, gestita dall’Unhcr, per chi ha bisogno di protezione internazionale. Ora, posto che la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra e, al momento, riconosce lo status di rifugiato solo a soggetti provenienti da sette paesi, dovremmo chiederci: chi sono le autorità libiche con cui dovremmo collaborare? Fayez al-Serraj, il leader a marchio Onu, è cosa ormai nota, non controlla neppure la capitale e tantomeno i gruppi che controllano i campi di detenzione. D’altra parte siamo stati proprio noi italiani a prendere accordi con le milizie (e non con Serraj) per la “gestione dei flussi migratori” e un motivo ci dovrà pur essere.
C’è poi l’incognita Haftar, oramai considerato da molti un interlocutore indispensabile. Non includerlo in una qualche intesa vorrebbe dire, almeno in parte, fare i conti senza l’oste e, conoscendo “i modi” del generale, una sua marginalizzazione nelle trattative potrebbe generare non pochi problemi di sicurezza nel paese che si ripercuoterebbero anche in quella delle nuove strutture create per “ospitare” i migranti. Stesso discorso potrebbe essere fatto per le milizie che non verrebbero coinvolte nel “progetto”.
Bisogna poi considerare che, secondo quanto affermato dalle varie organizzazioni internazionali, la struttura Unhcr di cui sopra potrà ospitare fino a 1000 persone. Ben poca cosa rispetto alla marea umana che si trova in Libia. Tuttavia, peccando di un certo ottimismo, potremmo ribadire, come già sopra affermato, che si tratta pur sempre di “un buon inizio”.
C’è poi un altro punto che dovrebbe far correre almeno un brivido sulla schiena al governo italiano. La proposta della task force nasce dall’attivissimo protagonista del summit, il presidente francese Emmanuel Macron, che da un lato chiede all’Europa un maggiore sforzo e dall’altro sembra voler correre in solitaria, relegando l’Italia al ruolo di gregario. Il giovane e ben determinato inquilino dell’Eliseo, infatti, si è presentato al vertice dopo un intenso tour africano, che ha toccato anche il Burkina Faso e il Ghana, al grido di “superiamo la Françafrique per una nuova vision nei rapporti con i paesi africani”. A ben leggere tra le righe, però, Macron potrebbe avere altri disegni, rafforzando il ruolo francese in Africa e piazzando la bandierina anche sulla Libia, croce e delizia della realpolitik d’oltralpe per lo meno dall’intervento internazionale del 2011 voluto da Sarkozy per spodestare Gheddafi. D’altra parte, già lo scorso luglio aveva invitato a Parigi Serraj e Haftar senza dare neppure un colpo di telefono a Palazzo Chigi, lanciando l’idea di hotspot nel paese. A pensar male si commette peccato ma forse i più maligni potrebbero credere che questo sia l’ennesimo tentativo francese di spodestare l’Italia dalla Libia, o per lo meno da Tripoli.