“Tutti i paesi arabi che in questo momento attaccano gli Stati Uniti e Israele lo fanno puramente per ragioni interne: dopo aver cresciuto per decenni la propria opinione pubblica a suon di slogan e dichiarazioni anti-israeliane non possono certo parlare diversamente” dice a ilsussidiario.net il corrispondente egiziano di Panorama a proposito della crisi aperta con la dichiarazione di Gerusalemme capitale da parte degli Stati Uniti. “In realtà” spiega Sebaie “i paesi arabi non hanno mai avuto bisogno come adesso di un asse con Israele per fronteggiare l’egemonia iraniana nel Medio Oriente”. A Istanbul si tiene in questi giorni il summit di 57 paesi musulani, guidato dal leader turco Herdogan che definisce Israele “stato terrorista” e che proclama Gerusalemme capitale della Palestina, mentre la visita di Netanyahu in Europa non ha ottenuto quanto il primo ministro israeliano voleva: l’Europa rifiuta di seguire la via americana.



Il premier israeliano in visita all’Unione europea a Bruxelles aveva detto che si aspettava che l’Europa seguisse l’esempio degli Stati Uniti e così non è stato. Che ne pensa?

Le posizioni europee, come si era già visto all’Onu e durante la visita di Netanyahu a Parigi, sono decisamente contrarie al riconoscimento americano. Era risaputo che l’Europa avrebbe detto di no.



A proposito della decisione americana, Netanyahu ha detto trattarsi del riconoscimento di un dato storico, quasi a dire che si tratta di una presa d’atto dovuta. E’ così?

Più che un riconoscimento storico è il riconoscimento di un dato di fatto. Tutti sanno che le sedi governative e i ministeri israeliani sono a Gerusalemme, a Tel Aviv ci sono solo le ambasciate e i consolati. Dal punto di vista fattuale, fino a oggi è stata tutta una farsa, a tutti gli effetti Gerusalemme è già capitale.

Sì, ma i palestinesi considerano Gerusalemme est la loro capitale.

I palestinesi chiedono che tutta Gerusalemme sia capitale della Palestina. Isarele già dal 1980 con una legge parlamentare ha dichiarato tutta Gerusalemme propria capitale. Bill Clinton nel 1995 chiese al congresso di riconoscere questa legge, che invece l’Onu considera nulla. Ogni presidente americano ha promesso in campagna elettorale che avrebbe compiuto il passo di dichiarare Gerusalemme capitale e puntualmente non l’ha fatto: né Clinton, né Bush, né Obama. Anche Trump ha fatto questa promessa con la differenza che lui l’ha mantenuta.



Significa un appiattimento degli Stati Uniti sulle posizioni della destra israeliana?

No, Trump sta semplicemente applicando cose che aveva promesso con molta chiarezza in campagna elettorale, in coerenza con molti altri provvedimenti. Questo è il suo pensiero e questo è il suo orientamento politico e adesso mantiene le promesse.

Al Cairo si sono incontrati il presidente dell’Autorità palestinese, il Re di Giordania e il presidente egiziano. Questi due paesi sono alleati tradizionali degli Usa, cosa porterà questo incontro?

Al massimo maggiori pressioni sui palestinesi per essere aperti a un possibile piano di pace e a un compromesso, non per risolvere la questione ma per effettuare dei primi passi verso una maggiore disponibilità ad accontentarsi di un nuovo assetto. Non certo per fare pressioni sugli israeliani perché sono rigidi sulle loro posizioni e beneficiano adesso anche di questo appoggio simbolico americano. 

La Turchia è il paese che esprime le condanne più dure contro Israele, cosa può comportare questo atteggiamento?

Erdogan sta cercando da tempo di acquisire il ruolo di rappresentante dell’islam. Prende posizioni forti anche perché lo rafforzano dal punto di vista interno. Tutti i leader arabi fanno lo stesso, perché sanno che devono rispondere a un’opinione pubblica interna che per decenni è stata alimentata a suon di dichiarazioni anti-israeliane, non possono certo dirsi oggi favorevoli agli Usa pubblicamente, devono per forza esprimere un parere contrario.

Questo situazione a cosa porterà?

Usando il linguaggio della “real politik”,mai come in questo momento paradossalmente i paesi arabi hanno bisogno di un asse con Israele per contrastare l’egemonia iraniana in Medio Oriente.

Per cui questo fronte è destinato a dissolversi e la protesta anti Gerusalemme a scemare? L’Iran cosa farà?

L’Iran in quanto autoproclamatasi “repubblica islamica” non concepisce neppure l’esistenza di Israele. I rapporti poi con gli Usa in questo momento non sono certo buoni visto il tentativo di Trump di smantellare l’accordo nucleare raggiunto da Obama. Il fatto poi che alcuni paesi del Golfo secondo fonti non ufficiali stiano trattando sottobanco anche loro con Israele, fa dell’Iran l’unico paese davvero pericoloso per la sicurezza israeliana.

(Paolo Vites)