Le autorità cinesi sarebbero impegnate in un’ampia attività di raccolta di Dna, impronte digitali, scansioni dell’iride ed altri dati biometrici tra cui i gruppi sanguigni di tutti i residenti dello Xinjiang, un’ampia regione nella parte occidentale della Cina. A rivelarlo, come riporta il quotidiano britannico The Guardian, è stata la Ong internazionale Human Rights Watch, che ha ribadito come i funzionari siano impegnati nella costruzione di un ampio database relativo ai residenti della regione di età compresa tra i 12 ed i 65 anni. Lo Xinjiang ospita ben 11 milioni di uigiri, minoranza musulmana turca, spesso vittima di discriminazioni e violenze da parte delle autorità cinesi. Secondo la Ong, alla base di questo imponente lavoro di catalogazione ci sarebbe un’operazione chiamata “Physicals for All” (ovvero “Visite mediche per tutti”) i cui dati raccolti potrebbero essere impiegati per “sorvegliare e schedare gli individui in base a etnia, religione, opinioni politiche e altri diritti difesi a livello internazionale come la libertà di parola”. La raccolta di tali informazioni avverrebbe attraverso controlli medici voluti dal governo ed a tal proposito non è ancora del tutto chiaro se le persone sottoposte alla raccolta dei propri dati siano a conoscenza che questi verranno poi trasmessi alla polizia. Le visite alle quali i residenti dello Xinjiang sono sottoposti sarebbero volontarie, ma secondo la testimonianza di un uiguro intervistato dal quotidiano britannico, gli stessi avrebbero ricevuto delle forti pressioni da parte delle autorità.



UN DATABASE PER “MANTENERE LA STABILITÀ SOCIALE”

Sarebbero circa 19 milioni tra i 12 ed i 65 anni coloro che, secondo quanto trapelato dall’agenzia di stampa statale Xinhua avrebbero preso parte agli esami medici nell’ultimo anno, ma pare che i dati di coloro considerati particolarmente rivoltosi siano stati raccolti indipendentemente dall’età. Ma qual è la finalità di tale imponente raccolta? Secondo i funzionari, ciò servirà a trovare eventuali soluzioni al fine di migliorare le condizioni di vita dei residenti e “mantenere la stabilità sociale”, ovvero adottare azioni di repressione contro i dissidenti, come spesso accade a Pechino quando viene utilizzata tale espressione. Dalla Ong Human Rights Watch arriva tuttavia una denuncia forte e chiara. La direttrice rappresentante della Cina, Sophie Richardson, ha considerato la raccolta obbligatoria di questi dati “un’ignobile violazione dei diritti umani internazionali, ed è ancora più grave il fatto che tutto questo venga fatto presentandolo come un programma sanitario gratuito”. Di contro, secondo Richardson, l’operazione in atto dovrebbe modificare il proprio nome per assumere quello più rappresentativo di “Privacy Violations for All”, ovvero “Violazioni della privacy per tutti”.

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