Come ormai consuetudine, in concomitanza dei negoziati di pace a Ginevra è spuntato un nuovo “dossier” per portare l’ennesima campagna di discredito contro il regime siriano ed il suo “apparato militare repressivo”. In questo caso il compito è stato affidato al documentario francese dal titolo “Syrie, le Cri étouffé” ossia “Siria: il grido soffocato” che è  stato trasmesso mercoledì 12 dicembre sulla televisione France 2. 



Nell’opera — realizzata dai giornalisti Manon Loizeau, Annick Cojean e del ricercatore libico Souad Wheidi — sette donne attiviste della “rivoluzione” testimoniano gli stupri subiti in varie circostanze nei “centri di detenzione del regime” ad opera dell’apparato di sicurezza governativo. Una di loro, Myriam, ha pensato di fare una raccolta di fondi affinché “30 ragazze siriane fuggite dai matrimoni forzati imposti a seguito degli stupri, possano studiare”. La donna non si appoggia a nessuna Ong, non c’è alcuna evidenza di chi sia in realtà, ma già venerdì sera aveva raccolto tramite una sottoscrizione “crowdfunding” 29.963 euro.



Nel documentario si dice che 50mila sarebbero le donne imprigionate e stuprate dalle forze di sicurezza siriane (2011-2014). Ovviamente questa cifra non ha alcun riscontro, una cifra così alta sarebbe corroborata da una infinità di testimonianze (che non ci sono); invece ne parlano solo attiviste legate all’opposizione armata. 

A fronte dei drammi che esse giustamente denunciano, la cronaca va però in altra direzione: racconta di gente che appena può fugge dalle enclavi ribelli e passa nelle parti controllate dai governativi. In sostanza, l’immagine di un esercito che opprime non coincide con la percezione della maggior parte della popolazione siriana. Per contro — come è accaduto dopo la liberazione di Aleppo — la popolazione denuncia le violenze subite dai ribelli (vedi qui e qui). 



E’ chiaro quindi che i mezzi informativi vengono “attenzionati” solo in una direzione e trasmettono verità parziali. 

Sarebbe allora più onesto dire che lo stupro è un fenomeno diffuso in ogni teatro di guerra. I report delle Nazioni Unite parlano chiaro, riferiscono di 60mila donne stuprate nel conflitto in Sierra Leone; 40mila in Liberia; 200mila nel solo Congo: sono alcuni numeri di questo dramma, ma utili a rendere l’esatta dimensione del fenomeno. Inoltre, se guardiamo indietro nella storia meno recente, ricorderemo le famose “marocchinate” delle truppe alleate del “Corp Expeditionnaire Français” in Italia, di quello americano in Francia e di quello sovietico in Germania. A questa “pratica” non sono sfuggite in varie epoche le truppe occidentali, anche in missione di pace (un’inchiesta di Associated Press quantifica in 2000 casi gli abusi sessuali dei peacekeepers nell’arco di 12 anni in varie parti del mondo). 

A fronte di questa drammatica realtà non si vede come la caotica e feroce situazione siriana possa sfuggire a questo insano costume. La situazione però non chiede indagini basate sul pregiudizio e scarsamente professionali; inchieste così fatte non rendono giustizia contro questi abusi ma anzi si prestano alla strumentalizzazione di parte. 

Inoltre, nell’evidente enfasi di produrre nocumento al nemico, non si può far finta di non sapere che negli interrogatori la tortura è abitualmente usata in tutti i paesi mediorientali. Come è noto, anche gli Usa ne hanno approfittato con la campagna delle Extraordinary Rendition con la quale il presidente Clinton autorizzò la pratica della tortura dei prigionieri in paesi terzi per delega (54 tra cui la Siria, parteciparono al programma dell’Extraordinary Rendition americano). Allo stesso modo è noto che in una situazione di caos non si può imputare ai vertici i risultati della (procurata) precarietà della linea di comando. Quindi è giusto indagare, ma è chiaro che non va affatto bene indagare solo da una parte, soprassedendo sugli episodi di violenza analoghi perpetrati dalla parte antagonista (che nel documentario sarebbero pari a zero).

Peraltro, le lezioni di morale provengono da chi, oltre a macchiarsi di stupri e torture (di questi ultimi esistono un’infinità di filmati diffusi in rete), ha messo in atto come pratica comune anche esecuzioni per motivi etnici, religiosi o anche semplicemente per l’accusa di “simpatie” governative. Non dimentichiamo che a questi crimini si aggiungono poi i rapimenti a scopo di estorsione, le autobomba nei centri affollati, le bombole di gas ed i missili sui quartieri civili di Aleppo e Damasco, i kamikaze che si fanno esplodere tra la folla. 

Ma la cosa più eclatante l’abbiamo lasciata alla fine: è che il documentario “Syrie, le Cri étouffé” ricalca esattamente un’analoga inchiesta effettuata durante la guerra libica: Annick Cojean, una delle due autrici del documentario — una giornalista di prestigio, reporter a Le Monde, vincitrice del prestigioso premio Albert-Londres, il Pulitzer francese —, è anche autrice di una serie di articoli e di un libro pubblicati nel corso della campagna Nato contro Gheddafi. Ebbene, anche in questo altro suo lavoro investigativo l’argomento principe sono stati gli stupri di guerra. Però mentre il suo libro ha avuto la massima pubblicità, le accuse presentate di stupri di massa ordinati da Gheddafi ai suoi soldati si rivelarono un gigantesco flop. 

L’inchiesta di Cojean è stata infatti smentita sia da Amnesty International che da Human Right Watch. Le due Ong, dopo mesi di indagini, hanno riferito di non aver trovato prove di stupro da parte delle forze filo-Gheddafi ed in particolare Amnesty International ha aggiunto che molte di quelle accuse erano state inventate di sana pianta dai ribelli. Liesel Gerntholts, responsabile dei diritti femminili di Human Rights Watch, riferì di non essere stata in grado di trovare una sola prova sul posto. 

A seguire, dello stesso segno anche i risultati della commissione d’inchiesta Onu incaricata di indagare sulle violazioni dei diritti umani nel conflitto libico: pure in questo caso, il responsabile Sherif Bassiouni indicò la vicenda degli strupri di massa come “una gigantesca isteria“.

Dopo una simile cantonata ed alla luce delle esperienze pregresse, la metodologia adottata dovrebbe variare. Ma così non è.