A quanto pare siamo nell’era della “prima volta” dell’Unione Europea; la prima volta dell’applicazione dell’articolo 50 dei Trattati in occasione del Brexit e ora la prima volta dell’articolo 7 invocato contro la Polonia. Quest’ultimo articolo viene applicato a uno Stato membro che dà luogo a dubbi sull’aderenza ai principi fondamentali dell’Ue e, nel caso tali sospetti fossero verificati, prevede sanzioni fino alla sospensione del diritto di voto nelle istituzioni europee. Nello specifico, la Polonia è accusata di aver emanato leggi restrittive sui media e limitative dell’indipendenza del sistema giudiziario.
Queste disposizioni, almeno a giudicare dai resoconti di stampa, presentano in effetti diversi aspetti discutibili e tali da far sorgere dubbi concreti su una possibile deriva autoritaria. Tuttavia, una lettura da profano porta a pensare che il suddetto articolo riguardi reali e oggettive violazioni di quei principi. Sembra tuttavia più opinabile che dia alle istituzioni europee il diritto di sindacare leggi liberamente approvate da Parlamenti nazionali e che riguardano il proprio sistema interno. In attesa dei pareri degli esperti su questi punti, è opportuno soffermarsi sulle reazioni polacche e sui possibili sviluppi per l’Europa.
I rappresentanti del governo polacco hanno definito l’intervento della Ue una indebita ingerenza motivata da ragioni politiche, difendendo non solo la legittimità ma anche la democraticità delle leggi approvate. Il presidente Andrzej Duda aveva in luglio posto il veto a una precedente versione delle leggi sulla magistratura chiedendone una revisione. Questa volta ha firmato senza esitazioni la nuova versione, pur in presenza della denuncia europea e di nette contestazioni da parte delle opposizioni nel Parlamento polacco e nella società. La mossa dell’Ue pare aver così rafforzato i sentimenti antieuropei, insieme a quelli più nazionalisti, essendo ritenuta principalmente un attacco al governo di centro-destra, già inviso a Bruxelles per le sue posizioni sull’immigrazione.
In soccorso del governo polacco si è subito mossa l’Ungheria di Viktor Orbán, che ha annunciato il proprio voto contrario rendendo così impossibile le sanzioni, per le quali è necessaria l’unanimità. Sarà interessante vedere quali posizioni prenderanno gli altri due Paesi del cosiddetto “gruppo di Visegrad”, Repubblica Ceca e Slovacchia, anch’essi su posizioni simili a quelle polacche e ungheresi per quanto riguarda l’immigrazione e in rapporti non proprio distesi con Bruxelles. Nel frattempo, qualcosa di simile sta avvenendo anche in Romania, dove il presidente Klaus Joannis ha dichiarato che il suo Paese potrebbe trovarsi nella stessa situazione della Polonia se il governo andrà avanti con le proposte di leggi tendenti a limitare l’indipendenza della magistratura.
Infine, sarà anche importante seguire gli esiti della visita in Polonia, attualmente in corso, della premier inglese Theresa May. Prima della sua partenza, la May ha espresso perplessità sulla nuova legislazione polacca, ma ha affermato che ne parlerà con il corrispettivo polacco. Ha invece decisamente affermato l’intenzione di rafforzare gli storici legami tra i due Paesi e auspicata una stretta collaborazione anche dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Al centro di questa collaborazione, la May ha messo i problemi della sicurezza e della difesa, anche in funzione antirussa.