In una Buenos Aires in assetto di guerra si è svolta, dal 10 al 13 dicembre, la riunione della Wto (World trade organization), l’Organizzazione mondiale del commercio. Dopo aver messo a ferro e fuoco la città di Amburgo due anni fa a causa degli scontri tra “black blocks” e forze dell’ordine, le misure prese dall’Argentina (per la prima volta questo summit mondiale si svolgeva in Sudamerica) sono state gigantesche, ma non sono servite, perché non solo all’esterno dei due edifici preposti (Il Centro Culturale Kirchner e l’Hotel Hilton) non si è assistito, fortunatamente, alla minima scaramuccia, ma sopratutto perché la riunione planetaria si è chiusa senza aver deciso nulla.
164 Paesi presenti che, chiamati a decidere sul futuro del nostro pianeta a livello economico, hanno saputo partorire solo veti incrociati che alla fine hanno condannato al fallimento la sessione: ci si chiede a questo punto quale sia il valore di questi summit, visto che ormai da un po’ di tempo si è capito come anche a livello economico il mondo sia destinato a dividersi come e ancor di più di quando lo era politicamente in due blocchi.
«Cosa siamo venuti a fare qui se non si riesce a prendere nemmeno una decisione?», se lo chiede anche il sottosegretario allo Sviluppo economico Ivan Scalfarotto, che ha guidato la missione italiana all’evento. «La commissaria della Ue Cecilia Malström ha sintetizzato il concetto dicendo “che cosa diciamo ai nostri figli? Che non siamo stati capaci di trovare un accordo sull’eliminazione dei sussidi alla pesca illegale?”».
Ma quali sono le ragioni di questo gigantesco impasse?
Come in altre possibili decisioni, è mancata la flessibilità: c’è stato un gioco di blocchi da parte di questo o di quel Paese… Abbiamo avuto una delle possibili decisioni, quella sull’agricoltura, bloccata da una sola delegazione. Questo è grave, perché noi continuiamo a pensare che lo strumento di decisione multilaterale sia importante. Aver portato 164 Paesi a discutere di prosperità, di posti di lavoro, di crescita è stato molto positivo, ma il fatto che questa grande occasione sia stata sprecata va sottolineato con dispiacere e anche richiamando alcuni alle proprie responsabilità. Di positivo c’è da dire che l’Unione europea è stata compatta sia nelle proposte che a livello decisionale, ma certamente il risultato di questo summit rappresenta una battuta di arresto molto grave.
Ma allora come potrà andare avanti il concetto di multilaterale? Ciò rappresenta un invecchiamento della Wto come istituzione?
Noi usciamo di qui senza neanche una dichiarazione ministeriale condivisa: a questo punto, davanti a questa situazione di stallo, alcuni Paesi hanno voluto iniziare a discutere di temi importanti, ma ciò conferma la crisi del multilaterale. Con alcuni Paesi abbiamo iniziato a parlare del tema delle piccole e medie imprese, che per noi sono fondamentali, dell’e-commerce, che mi sembra fondamentale, perché al di là di tutto avere una organizzazione che si definisce mondiale del commercio e che nel 2017 non vuol parlare del commercio elettronico conferma la crisi del sistema multilaterale a favore del plurilaterale, ossia gruppi di Paesi. E se ci dobbiamo trovare noi, quelli che ci stanno a discutere, vuol dire che non ci siamo messi d’accordo su nulla.
Ma sul tema di un accordo commerciale tra Unione europea e Mercosur, che era uno dei più attesi, si è deciso qualcosa?
Abbiamo molto insistito per trovare un accordo politico che si potesse annunciare qui: l’Italia era molto favorevole, però non si è potuto concludere anche se in questi giorni ci sono stati dei progressi sostanziosi e si è ottimisti che per il mese di gennaio possa essere annunciato. Dovessi riassumere in una frase la mia impressione di questa conferenza è che tutti parliamo di una crisi del multilateralismo dovuta a ragioni procedurali, quindi la macchinosità nel raggiungimento di un consenso. Io invece penso ci sia anche una crisi di tipo strategico, perché se la Wto non è all’altezza di confrontarsi sui veri temi del nostro tempo, la domanda è: allora qual’è la sua funzione?
(Arturo Illia)