Ad Aleppo è il secondo Natale senza la guerra, ma la situazione, come ci ha detto monsignor Georges Abou Khazen, francescano della Custodia di Terra Santa e vicario apostolico di Aleppo, è ancora estremamente difficile: povertà estrema, gran parte della città ancora distrutta, mancanza di lavoro. Tanti i progetti in cui la Chiesa è impegnata per far fronte ai molti bisogni: “Durante il conflitto abbiamo sviluppato nuovi modi di incontro tra cristiani e musulmani. E oggi grazie a questo siamo impegnati insieme in molti progetti per aiutarci a vicenda”. E’ proprio vero che anche dalle tragedie più sanguinarie può nascere un seme di amore: “I musulmani in questi giorni di Natale vengono da noi e ci dicono: perché non avete ancora fatto il presepe? Girano ogni chiesa per visitarli con le loro famiglie, desiderano profondamente vivere anche loro la gioia del Natale. Che non è una sfida all’altro, ma la festa di tutti gli uomini”.



Monsignore, come è oggi a circa due anni dalla fine dei combattimenti la situazione ad Aleppo?

Dal punto di vista della sicurezza la situazione è migliorata al 90 per cento, però rimane lo stato di emergenza. Si muore ancora ad Aleppo, mentre si cercano di ricostruire le case distrutte. E poi la povertà è tanta: molta gente non ha lavoro, chi ce l’ha, come i funzionari statali, ha una paga che per via della svalutazione della moneta non vale quasi più niente. Lo stesso per i pensionati.



Da tempo la chiesa di Aleppo è impegnata in un progetto, “Goccia di latte” che ogni mese assicura latte in polvere a quasi 3mila bambini. Questo impegno continua ancora?

Sì certamente, il progetto prosegue, ma siamo impegnati in tanti fronti. Questo del latte è il più importante perché i bambini sono sempre la parte più debole, ma ad esempio aiutiamo molte famiglie dando loro ogni settimana un pacco alimentare, aiutiamo gli studenti, le famiglie giovani e soprattutto regaliamo medicinali o aiutiamo a pagare le visite mediche. Siamo impegnati in vari campi di assistenza.

Durante gli anni della guerra lei ci raccontò che tanti musulmani rimanevano colpiti dalla carità dei cristiani nei loro confronti. Oggi come è la convivenza?



E’ una convivenza e una collaborazione che continua. La guerra, i morti, le tante difficoltà ci hanno messi insieme e ci sono molti progetti d’aiuto che facciamo insieme a loro.

Lei ha anche detto che come cristiani siriani non vi sentite una minoranza piccola e perseguitata, ma parte della grande famiglia che è la Chiesa universale. Cosa intende esattamente?

Ci sentiamo parte di questa famiglia grazie a voi e alla gente che prega per noi, ci pensa e ci aiuta. Il fatto stesso di sentire questi fratelli ci dà coraggio e ci alza il morale.

In realtà siete voi con la vostra testimonianza di fede che ci date coraggio.

Speriamo di essere dei testimoni, speriamo di esserlo.

Come avete vissuto questi giorni di preparazione al Natale?

Un po’ come si fa in tutto il mondo. In alcune parti della città, quelle non distrutte, sono state ornate di luci le case, davanti al municipio è stato messo un grande albero di Natale. Da parte nostra oltre la preparazione liturgica con la novena e tutto il resto, facciamo sempre il presepe fuori dalle chiese e dai conventi e all’interno. Il Natale non è una sfida ai non credenti. Anche i musulmani lo aspettano, guai se non facciamo i presepi, ci vengono a dire: perché non lo avete fatto? Il Natale è una festa di pace, gioia e speranza per tutti. I musulmani vengono a visitare le nostre chiese, vogliono sentire e toccare la stessa gioia che viviamo noi.

(Paolo Vites)