Sono i siriani, quelli veri, quelli nati e cresciuti in questo martoriato paese e che per anni hanno sofferto il martirio della guerra, a sbatterci davanti il vero significato di fake news e informazione politicamente manipolata. Quando infatti senti padre Munir Hanashy, sacerdote salesiano nato ad Aleppo e da qualche anno parroco a Damasco dire che “il fondamentalismo islamico non è nato in Siria, è stato portato qui dai paesi del Golfo e da Stati Uniti e Francia” capisci qual è la realtà dello sporco gioco fatto su mezzo milione di morti e undici milioni di profughi dalle nostre democratiche potenze occidentali. Padre Munir è il direttore del centro salesiano della parrocchia di San Giovanni Bosco a Damasco, un oratorio che ospita 1300 giovani dalla seconda elementare all’università, “per concedere loro qualche ora al giorno di serenità, di servizi essenziali come l’acqua e l’elettricità che in casa non hanno. Ecco perché ci siamo chiamati Oasi di pace”. Al contrario di quello che ci dicono anche su questo i media occidentali, alla periferia di Damasco si continua combattere contro l’Isis e i missili continuano a piovere sulla città.
Padre Munir, da quanto tempo voi salesiani siete a Damasco? Di cosa vi occupate sostanzialmente?
Siamo stati invitati a Damasco nel 1992 dalle suore salesiane che già erano qui, loro sono responsabili di un ospedale italiano e di un asilo, anche se la presenza dei salesiani in Siria risale al 1948. Ci hanno chiesto aiuto e noi siamo venuti. Io sono originario di Aleppo, mi sono trasferito qui quattro anni fa e sono il direttore e l’economo di questo centro giovanile che abbiamo costruito intorno alla parrocchia.
Durante gli anni di guerra il vostro quartiere e la vostra parrocchia sono stati colpiti da bombardamenti?
Grazie a Dio bombe dirette su di noi non ce ne sono state, anche se scoppiavano nelle vicinanze e capitava che schegge e pallottole entrassero nella nostra struttura.
Adesso come è la situazione a Damasco? E’ pacificata?
Assolutamente no. La situazione a Damasco è ancora complicata, l’Isis è ancora nei dintorni, colpi di mortaio e missili arrivano in città anche se non se ne parla più in occidente, ma questo non vuol dire che in Siria e a Damasco la guerra sia finita. L’esercito nazionale siriano sta facendo sforzi in tutta la Siria, e speriamo che possa finire presto. A Damasco si combatte ancora nelle periferie, la situazione non è assolutamente tranquilla. Recentemente ho dovuto chiudere l’oratorio più volte per questi missili che vengono sparati sulla città, non posso mettere a rischio la vita dei ragazzi.
Ci dica qualcosa del vostro centro.
E’ uno dei più frequentati di Damasco, più di 1300 ragazzi dalla seconda elementare fino agli universitari vengono qui da ogni parte della capitale per vivere in serenità qualche ora in modo normale. Grazie a due generatori siamo in grado di avere sempre luce ed elettricità, c’è sempre l’acqua, cose che a casa mancano. Cerchiamo di costruire un ambiente accogliente, per questo l’abbiamo chiamata “Oasi di pace”: un posto dove il giovane può stare qualche ora in serenità. Ogni giorno offriamo a tutti un pasto perché anche il cibo nelle loro famiglie è poco.
La Siria era famosa prima della guerra come esempio di convivenza fra religioni e culture diverse. Adesso è ancora così?
La Siria è sempre stata lodata come esempio di convivenza pacifica fra minoranze diverse, anche Benedetto XVI ci ha lodati per questo. Da siriano cristiano nato e cresciuto in Siria, posso testimoniare che è così. Il problema sono i fondamentalisti, che non sono siriani ma sono stati portati qui dai Paesi del Golfo col sostegno di Stati Uniti e Francia (per sconfiggere il presidente Bashar al Assad, ndr). Sono certo che piano piano questo fondamentalismo sparirà, i veri siriani nati e cresciuti qui desiderano solo convivere in pace fra tutti.
Tanti siriani sono fuggiti. I giovani che vengono da voi cosa aspettano dal futuro? Sperano di restare qui e costruirsi una vita o vogliono andare via anche loro?
Il nostro lavoro è aiutare per quel che possiamo a difendere la presenza cristiana in Siria. Tanti hanno lasciato il paese per tanti motivi, cerchiamo di essere presenti e aiutare le famiglie in tutti i modi possibili. Non possiamo dimenticare che la guerra è un peso molto grande, tanti sono morti, tanti sono stati rapiti. Non puoi dire a un giovane di non partire dopo sette anni di guerra, questo punto interrogativo c’è ancora. Negli ultimi anni si vedono passi forti del governo: è stata liberata Aleppo e altre parti della Siria insieme ai russi. Anche economicamente stiamo male, una volta non ci mancava nulla, c’era lavoro, si viveva bene. Noi preghiamo che tutto questo finisca anche se ci vorranno anni per ricostruire il paese.
In questi anni sentivate vicina la Chiesa di Roma?
La Chiesa ci è sempre stata vicina, oltre che con aiuti economici. Tutti i siriani, anche i musulmani, ringraziano la Chiesa e papa Francesco che ci ha sempre chiamati la Madre Siria, per le preghiere e i digiuni per la pace. E’ stata segno di vicinanza per tutti i siriani, segno di presenza del Santo Padre e dei nostri fratelli cristiani.
Se potesse dire con una battuta il cuore, il senso della vostra missione, anche pensando al Natale, cosa direbbe?
La nostra grande sfida è l’aspetto educativo. Dare ai giovani grandi valori educativi e incoraggiarli a vivere in questi momenti così difficili. Così come anche un aiuto spirituale personale. Vi chiediamo di pregare per noi e credere che la sfida più grande nel mondo di oggi è l’educazione, che sia la prova che in queste terre di violenza il valore educativo è quello che più vale su ogni altro aspetto.
(Paolo Vites)