Esattamente un anno fa, proprio in questi giorni, le forze siriane e quelle russe liberavano Aleppo dalla coalizione ribelle su cui predominava il gruppo jihadista di al Nusra. Da allora, da quando la città è stata riconquistata, tutti i mezzi di informazione occidentali si sono dileguati.

L’unica eccezione alla norma è rappresentata dal documentario “le macerie, la speranza” di Tv2000, che in settembre ha riacceso i riflettori sulla città martoriata. E’ significativo che il reportage già nei primi fotogrammi chiarisca il motivo della sparizione dei media: è la presa di coscienza della popolazione che rigetta ormai in blocco i falsi presupposti della guerra. L’amara constatazione del giovane aleppino che nel filmato indica il suo quartiere ridotto in macerie e dice: “[I ribelli] dicevano che volevano portare la democrazia, la libertà. Chiamala come vuoi: la libertà è passata di qua, … questa è la libertà”, non si presta più a fraintendimenti. 



Del resto basta poco per smascherare l’insostenibile menzogna della “rivoluzione di popolo”: sin dal primo anno di conflitto le 2mila  fabbriche in Aleppo saccheggiate dai ribelli, avrebbero dovuto rappresentare un buon vademecum per chiarire la natura della rivolta. Evidentemente gli elementi per stabilire la verità non sono mancati; più semplicemente, i grandi media hanno lucidamente scelto di adottare un filtro ossequioso della narrativa fornita dai governi occidentali. Perciò ora che si trovano in evidente imbarazzo, tacciono o parlano d’altro. 



In particolare, l’informazione mainstream finge di non accorgersi che ad Aleppo la cordata anti-Assad, una volta esaurita l’evacuazione dei ribelli, si è del tutto dimenticata della necessità (a lungo sostenuta) di prestare aiuto alla popolazione. Sta a dire che dagli autoproclamatisi “amici della Siria” non è arrivata neanche una sola pagnotta. 

Khaled, un ingegnere siriano di Aleppo, ci conferma che gli aiuti sono pervenuti solo dall’interno del paese e dalle istituzioni religiose: “Chi è fuggito da Aleppo si è aggiunto agli sfollati interni che sono dovuti scappare dalle bombe, lasciando le loro case e rifugiandosi in altre zone della Siria. In queste circostanze, la popolazione ha condiviso con i connazionali sfollati tutto ciò che aveva. Infatti, la maggior parte degli sfollati è stata ospitata da parenti e amici che per tutto il tempo della disgrazia hanno condiviso con loro l’alloggio. Questo aiuto, per quanto umile sia stato, è stato provvidenziale. In quanto al fabbisogno ordinario di cibo, indumenti e medicine il maggior onere l’ha sostenuto lo Stato che anche attualmente prosegue queste distribuzioni attraverso la Mezza Luna rossa siriana. Inoltre, impareggiabile è stato l’apporto fornito dalle organizzazioni religiose (sia islamiche che cristiane), che hanno distribuito aiuti attraverso i rispettivi centri religiosi, moschee e chiese. Una terza fonte di aiuti è stata fornita (in forma meno vistosa e piuttosto discreta) dai ricchi siriani che hanno dato prova di grande generosità in questi momenti difficili”. Khaled tiene a precisare che “fatta eccezione della Federazione russa che ha inviato cibo e medicine, nessun altro paese si è mobilitato per prestare aiuto alla nostra città”.



Questa descrizione coincide con quanto denunciato in molte occasioni da molti religiosi come il vicario apostolico mons. Georges Abou Khazen, il parroco di Aleppo padre Ibrahim Alsabagh (o laici come il direttore dell’ospedale di Aleppo Nabil Antaki). Tutti loro hanno continuamente stigmatizzato le contraddittorietà e le falsità della narrativa occidentale e hanno più volte sollecitato le potenze occidentali a non intromettersi più nelle questioni interne al paese o almeno di non minare i processi di pace. 

Queste ultime richieste sono la sintesi di ciò che è chiesto a gran voce dalla popolazione di Aleppo, che vuole costruire il proprio futuro senza essere schiacciata da forze estranee tese soltanto a imporre la loro soluzione politica. La città tra mille difficoltà sta ora tornando vitale grazie alla generosità ad alla perseveranza dei suoi cittadini e all’opera delle forze armate siriane. Permangono comunque i tiri dei terroristi dalla periferia della città che vengono indirizzati nel centro cittadino. Questi attacchi, anche se sporadici, continuano a fare vittime. Addolora che giovedì mattina gruppi armati con sede nel villaggio di Abd Rabbo e Lirmun — mentre in città ci sono state varie manifestazioni per festeggiare la prima ricorrenza della liberazione — hanno attaccato le aree residenziali nel nord-ovest della città con 8 missili. L’orario scelto, come di consueto, è stato quello dell’entrata e dell’uscita da scuola, cioè quello di maggior affollamento nelle strade. A seguito dell’attacco effettuato con razzi a propulsione indirizzati sui quartieri di Khalidiya, Andalus e Al Zahraa, due bambini sono stati uccisi e diversi civili sono rimasti feriti. 

Ma questa descrizione, pur nella sua drammaticità, non descrive lo spirito della città di Aleppo che nonostante tutto sta cercando di rialzarsi. Khaled mi conferma che “il popolo che è passato nei momenti più scuri e tragici della sua storia non ha perso la speranza in questo Natale ed ha speranza e gioia”. Ed aggiunge: “Per di più questi giorni portano la memoria di una vittoria schiacciante. Tutti i nostri sacrifici sono stati dell’ordine di centinaia di migliaia: le vite umane stroncate, gli edifici distrutti, gli alberi divelti, ma tutto questo si trasformerà in energia per la ricostruzione”.

Fanno eco a queste parole quelle di suor Arcangela dell’Ospedale di San Louis che dice: “Quest’anno festeggiamo due anniversari: la nascita di Gesù Bambino e quello della liberazione di Aleppo. (…) Una stella di speranza sorge sulla città di Aleppo per una Pace duratura, sia essa la nostra guida, la nostra strada per affrontare il nuovo anno e avere il coraggio di credere che con l’Emmanuel, Dio con noi, tutto diventa possibile”.